La rassegna di dottrina e giurisprudenza del Corso nazionale di formazione specialistica dell'avvocato penalista organizzato dall'Unione delle Camere penali italiane in collaborazione con il Centro per la formazione e l'aggiornamento professionale degli avvocati del Consiglio Nazionale Forense.

3 settembre 2007

Appello della Parte Civile; Procura speciale; Legittimazione ad impugnare; Inammissibilità .

Corte di Assise di Appello di Venezia - Sezione Prima - Sent. 14.3.2007 - Pres. Est. Zampetti .

Appello della Parte Civile - Procura speciale - Legittimazione ad impugnare -Inammissibilità -Effetti sulla conversione del ricorso per Cassazione del Procuratore Generale - Ragioni.
(Artt. 100, 576, 580 c.p.p.)

Non può legittimamente proporre appello il difensore della parte Civile laddove tale potere non sia conferito dalla parte stessa nella procura speciale.
Ove il ricorso per Cassazione del Procuratore Generale sia stato convertito in appello in forza dell’appello della Parte Civile e quest’ultimo sia stato dichiarato inammissibile, la conversione non dovrà più operare con conseguente trasmissione degli atti alla Corte di Cassazione.

La sentenza così motiva:
(Omissis). - Nella notte tra il 22 ed il 23 settembre 1986 XY, allora 29enne, veniva ucciso, attinto da due colpi d’arma da fuoco, presumibilmente una pistola a tamburo. L’uomo era stato atteso al suo rientro a casa, una villetta in Campolongo Maggiore (VE), ed il suo cadavere veniva invero rinvenuto, il mattino successivo, riverso sui gradini esterni del giardino.
La vittima era notoriamente inserita nella malavita del piovese (articolazione della cd. “Mala del Brenta”) capeggiata dal noto XX. Le indagini si muovevano quindi in tale direzione, peraltro senza risultati apprezzabili.
Solo successivamente le amplissime collaborazioni del capo indiscusso della Mala del Brenta, XX, e quelle dell’attuale imputato YY, cugino del precedente, hanno consentito di chiarire le responsabilità su tale delitto. Ed invero è risultato in modo pacifico, per concordanza di ammissioni, che l’omicidio del XY fu eseguito da YY, su istigazione del cugino XY, mediante colpi sparati con un revolver calibro 38, in esito ad apposito agguato.
Si procedeva dunque a carico di YY (essendo stato XY giudicato a parte per questi fatti) in ordine ai reati di:
a) concorso in omicidio volontario;
b) concorso in detenzione e porto illegale di arma comune da sparo.
I prossimi congiunti della vittima si costituivano parte civile: X, madre, Y, figlio, Q e Z fratelli.
L’imputato chiedeva ed otteneva rito abbreviato.
Con sentenza 19.06.2006 il GUP del Tribunale di Venezia:
a) dichiarava estinto per prescrizione il reato in materia di armi di cui al capo b);
b) dichiarava l’anzidetto imputato colpevole del reato di omicidio volontario di cui sub A) e, in concorso di circostanze attenuanti generiche e della speciale diminuante della collaborazione, operata la riduzione per il rito prescelto, lo condannava alla pena finale di anni 5 e mesi 4 di reclusione;
c) applicava nei suoi confronti la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici;
d) condannava lo stesso imputato al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore delle parti civili costituite, più spese di lite;
e) assegnava una provvisionale di € 8.000 - ciascuno in favore delle parti civili X e Y.
In ordine alla ritenuta responsabilità il primo giudice, premesso un quadro storico della Mala del Brenta ed un esame delle precedenti infruttuose indagini, la basava sulle conformi dichiarazioni confessorie dell’attuale imputato e del cugino XX.
Il movente era ritenuto quello, confessato, di punire il XY per essere stato costui l’autore del duplice omicidio di XXX e YYY, esecuzione avvenuta senza previa autorizzazione e così eliminando un fedelissimo di XX.
In ordine alla commisurazione sanzionatoria il Gup determinava la pena sulla base di anni 21 di reclusione, pena ridotta del massimo consentito, e quindi alla metà, ad anni 10 e mesi 6, per l’attenuante della collaborazione, quindi ridotta ancora per le generiche ad anni 8, infine abbattuta di un terzo ex art. 442 cpp, così da definirsi l’anzidetta pena finale e concreta.
Avverso l’anzidetta sentenza proponevano impugnazione il Procuratore generale e le parti civili.
Si gravavano con atto d’appello le parti civili costituite che proponevano i seguenti motivi di gravame:
a) avere ingiustamente il primo giudice omesso la liquidazione diretta dei danni, trattandosi, come richiesto, di soli danni morali;
b) avere ingiustamente il primo giudice omesso di pronunciare l’immediata esecutività per tutte le parti civili;
c) avere ingiustamente il primo giudice omesso di disporre provvisionale anche per le parti civili Q e Z;
d) avere il primo giudice disposto provvisionale per cifra ingiustamente esigua.
Si gravava con ricorso in cassazione, convertito in appello, il Procuratore Generale presso questa Corte che chiedeva annullamento della sentenza per mancanza di motivazione sia sulla determinazione della pena base che per il riconoscimento delle generiche.
Premesso che si tratta di un omicidio su commissione, eseguito senza scrupoli, inserito in ambiente malavitoso per questioni di predominio, lamenta la parte pubblica che non sia stata contestata l’evidente premeditazione (rivelata dal mandato e dall’agguato) e che in modo immotivato il primo giudice abbia indicato la pena base minima (anni 21 di reclusione) ed abbia riconosciuto attenuanti generiche senza alcuna particolare indicazione giustificativa. Chiede dunque il P.G. volersi assumere le conseguenti determinazioni.
All’odierna udienza camerale di questa Corte, assente per rinuncia l’appellato imputato, preliminarmente il difensore ed il Procuratore Generale svolgevano eccezioni di carattere processuale sulle quali erano sentite tutte le parti. La Corte quindi, giudicando insuperabile la prima questione proposta dalla difesa, prendeva la decisione nel senso di cui alla seguente motivazione.
Trattandosi di una decisione presa su base strettamente processuale. appare opportuno ricordare lo schema nel quale ci si trova: la sentenza di primo grado è stata resa in rito abbreviato; contro la stessa è stato proposto appello dalle parti civili e ricorso in cassazione, convertito in appello, dal Procuratore Generale.
Orbene, tanto premesso, all’odierna udienza sono state proposte in via preliminare le seguenti questioni:
a) dalla difesa dell’imputato:
1. inammissibilità dell’appello per difetto di procura speciale nell’appellante;
2. problematica. allo stato della legislazione (in forza della normativa cd. “Pecorella”) e della giurisprudenza (ordinanza n. 32/07 della Corte Costituzionale, attesa di decisione interpretativa delle SS. UU della Corte di Cassazione). in ordine all’appellabilità in capo alla parte civile;
b) dal Procuratore Generale:
1. non operatività della regola della conversione del proprio ricorso in appello per mancanza di elementi di connessione tra i motivi di esso e quelli dell’appello della parte civile.
E’ di tutta evidenza l’assoluta pregiudizialità di tali questioni che, ove accolte, imporrebbero soluzione impeditiva della valutazione di merito.
Orbene, il primo profilo dell’eccezione della difesa (sopra indicato sub a.1) è insuperabile.
E’ pacifico, invero, che l’impugnazione della parte civile debba essere proposta o direttamente dalla parte o da persona munita di procura speciale. Nel caso in esame l’appello è stato proposto dal difensore della parte civile senza, al momento, una specifica procura. In tale situazione occorre indagare allora se la procura iniziale, conferita dalle parti al difensore per la costituzione in giudizio, contenesse comunque il potere di proporre impugnazione. Tale indagine non può non essere fatta che alla stregua dei criteri autorevolmente indicati dalla sentenza delle SS. UU. Della Cassazione 27.10.2004 n. 44712, imp. Tizio.
Può così riscontrarsi in modo diretto quanto preciso che la formula usata nella procura conferita dai danneggiati del reato al difensore perché si costituisse parte civile nel presente processo corrisponde pienamente a quella che, esaminata nella citata sentenza, è stata giudicata non essere idonea ad essere letta quale procura speciale valida anche per la proposizione dell’impugnazione. Vi è invero investitura per la costituzione e per la rappresentanza, ma nulla che faccia riferimento a gradi successivi del giudizio. In definitiva, seguendo l’anzidetto orientamento interpretativo, pur in un quadro potenzialmente aperto, non vi sono frasi (ancorché di stile) che consentano di ritenere conferito anche il mandato di proporre impugnazione.
Un tanto, del resto, non è sfuggito alla stessa parte civile che, invero - peraltro nella sua ottica solo per maggiore garanzia -, si era fatta rilasciare espressa e specifica procura speciale che, però, non risulta versata in atti ed è stata offerta alla Corte solo all’ odierna udienza.
Tale procura speciale, della cui autenticità non è lecito dubitare (è sottoscritta per autentica dal difensore), e che dunque denuncia la volontà sostanziale delle parti di conferire al difensore il mandato ad appellare, non può però essere presa in considerazione ai fini della formale legittimazione che qui si vaglia, per essere versata in actis solo in data odierna, e risultando dunque tardiva rispetto al momento, cui solo deve farsi riferimento, della proposta impugnazione.
Va dunque dichiarata l’inammissibilità dell’appello della parte civile per difetto di legittimazione a proporlo.
Consegue, ex art. 591 e 592 cpp, che tali parti civili appellanti debbano essere condannate al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio.
Ciò posto. è inevitabile ritenere che, venuta così meno la ragione della conversione del ricorso del P.G., questo debba essere rimesso alla sede sua propria, e, cioè, la Corte di Cassazione.
Ed invero la ragione della conversione, stabilita dall’art. 580 cpp, è quella della necessità di garantire il simultaneus processus (per economia processuale ed altresì per evitare possibili difformità di giudizi). Quando però la dichiarata inammissibilità dell’appello rende non più sussistente tale ragione, e di conseguenza che la conversione non debba più operare, di tal che l’impugnazione dell’altra parte riacquista la sua valenza originaria di ricorso. In tal senso cfr. Cass. Pen. Sez. 4, 13.09.1994, n. 9835, imp. QQ: “La finalità della conversione del ricorso per cassazione in appello, di cui all’art. 580 cpp. è quella di rendere possibile la trattazione in un unico contesto processuale di tutti i mezzi dì impugnazione proposti da tutte le parti contro la stessa sentenza. Ne consegue che non deve procedersi a conversione quando l’appello è inammissibile per suoi vizi originari”. E poichè il difetto di legittimazione nell’appellante deve ritenersi vizio originario, non resta che dare convinta applicazione a tale massima giurisprudenziale. (omissis)

NOTA
1. Su appello della Parte Civile, la Corte d’Assise d’Appello di Venezia era stata investita del giudizio in ordine ad un omicidio commesso nell’oramai lontano anno 1986. Nel corso del giudizio di primo grado, tenutosi avanti il G.u.p. presso il Tribunale di Venezia nelle forme del giudizio abbreviato, l’imputato era stato giudicato colpevole e condannato alla pena ritenuta di giustizia, oltre che al risarcimento del danno subito dalle parti civili costituite: per la sua esatta liquidazione le stesse erano state rimesse avanti al giudice civile, disponendosi in loro favore il riconoscimento di una provvisionale, unitamente alla liquidazione delle spese giudiziali sostenute. Avverso il capo relativo alle statuizioni civili, proponeva appello il difensore delle parti civili.
Il Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Venezia proponeva avverso la medesima sentenza, a propria volta, ricorso per cassazione in punto pena, essendogli preclusa la possibilità di proporre appello ex art. 443, co. III c.p.p.
All’esito dell’udienza del 14.03.2007, ed a seguito delle eccezioni proposte dalla difesa dell’imputato, la Corte d’Assise d’Appello pronunciava sentenza, con la quale dichiarava inammissibile, per difetto di legittimazione, l’appello proposto dalla parte civile e, ritenendo altresì non operante la conversione del ricorso in appello di cui all'art. 580 c.p.p., disponeva la trasmissione del fascicolo alla Corte di Cassazione in relazione al ricorso proposto dal P.G. di Venezia.
2. La prima questione che appare opportuno evidenziare in relazione alla sentenza in commento, è quella concernente la legittimazione del difensore della parte civile costituita a proporre appello avverso la sentenza di I grado, e - più specificamente - l’individuazione delle forme attraverso le quali si manifesta l’effettiva attribuzione di tale potere al difensore medesimo.
Occorre anzitutto premettere come il difensore di parte civile, a differenza del difensore dell’imputato, non sia titolare di un autonomo potere di impugnazione della sentenza: l’art. 571, co. III c.p.p. prevede infatti che “può inoltre proporre impugnazione il difensore dell’imputato al momento del deposito del provvedimento ovvero il difensore, nominato a tal fine”; a fronte di ciò l’art. 576, trattando del potere di impugnazione della parte civile, parla esclusivamente di quest’ultima, e non del suo difensore. In concreto ciò sta a significare che il difensore di parte civile, per proporre appello in nome e per conto dei propri assistiti, dovrà a ciò essere espressamente legittimato da un atto che gliene conferisca il relativo potere1.
Si impone invero un breve chiarimento: la parte civile sta in giudizio col necessario patrocinio di un difensore “munito di procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata dal difensore o da altra persona abilitata. […] La procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell’atto non è espressa una volontà diversa” (art. 100, co. I e III c.p.p.). Tale procura deve intendersi come procura ad litem, ovvero come conferimento del mandato defensionale al difensore, il quale sarà perciò legittimato a stare in giudizio in nome e per conto della parte civile, potendo quindi “compiere e ricevere, nell’interesse della parte rappresentata, tutti gli atti del procedimento che dalla legge non sono alla stessa espressamente riservati. In ogni caso non può compiere atti che importino disposizione del diritto in contesa se non ne ha ricevuto espressamente il potere” (art. 100, co. IV c.p.p.). Il compimento di atti di disposizione del diritto in contesa, quali ad esempio la rinuncia all’azione, richiede pertanto uno specifico conferimento del relativo potere in capo al difensore di parte civile, ovverosia una procura ad causam, individuata dall’art. 122 c.p.p. Specifica fra l’altro questa norma che “la procura deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata […]” aggiungendo che “la sottoscrizione può essere autenticata dal difensore medesimo”. Tale distinta procura è perciò atto totalmente diverso da quello di cui all’art. 100 c.p.p.: questo infatti concerne il conferimento del mandato defensionale, il primo invece conferisce il potere di compiere in nome e per conto del rappresentato uno specifico atto a lui normalmente riservato2. La distinzione, netta nella teoria, è però nella pratica poco agevole, stante l’identità di forme (per ambedue è prevista la forma della scrittura privata autenticata, con sottoscrizione autenticabile dal medesimo difensore/procuratore ivi nominato) e la possibilità, ex art. 37 disp. att. c.p.p., di rilasciare la procura ex art. 122 c.p.p. anche preventivamente: è perciò usuale la prassi di conferire indistintamente nel medesimo atto sia la procura ex art. 100 c.p.p. - con ciò nominando il proprio difensore di parte civile - sia la procura ex art. 122 c.p.p. - conferendo così al suddetto difensore il potere di compiere specifici atti, quale, tipicamente, la costituzione di parte civile ex art. 76 c.p.p.
Nel caso di specie, l’impugnazione avverso la sentenza di I grado era stata proposta dal Difensore della Parte Civile: si imponeva pertanto una verifica in ordine alla legittimazione di quest’ultimo al compimento di tale atto, ovverosia si trattava di ricercare una valida ed idonea procura ex art. 122 c.p.p., rilasciata in suo favore dalla Parte Civile (la quale sola ha, ex art. 576 c.p.p., il potere di proporre impugnazione). In atti era presente unicamente un “Atto di nomina a difensore e contestuale conferimento di procura speciale”, rilasciato in calce all’atto di costituzione di parte civile in I grado, il cui tenore letterale di seguito si riporta (grassetti originali): “La sottoscritta …, nata a…, il giorno …, residente in … via…, nomina l’avvocato …, del Foro di …, ivi con studio in via… , proprio difensore di fiducia, quale costituenda parte civile, nel procedimento penale n. … R.G.N.R….a carico di…, conferendo al medesimo avvocato procura speciale sia al fine di costituirsi parte civile nel sopraindicato procedimento penale, sia ai sensi e per gli effetti dell’art. 100, commi 1 e 2 c.p.p., conferendogli ogni facoltà di legge, comprese espressamente quelle di conciliare, transigere e farsi sostituire, nonché fare ed accettare la rinuncia agli atti ed all’azione, accettare pagamenti, quietanzare, eleggere domicilio e nominare procuratori, domiciliatari e sostituti. In …, il giorno… (seguono sottoscrizione della parte e, per autentica, del difensore)”.
Nella pratica, si è posto al giudice d’appello il problema di verificare se tale atto contenesse valida procura ex art. 122 c.p.p, idonea a legittimare il difensore di parte civile a proporre appello.
3. Ebbene, sul punto le Sezioni Unite della Suprema Corte, con pronuncia del 27 ottobre 2004 (dep. 18 novembre 2004), n. 44712, Mazzarella (in Cass. Pen. 2005, p. 383, con nota di VESSICHELLI), hanno chiarito come non sia necessario un espresso e palese richiamo al suddetto potere, ovverosia l’utilizzo nella procura di formule c.d. ‘sacramentali’, perché vi possa essere valida attribuzione potestativa: è invero necessario e sufficiente che la relativa volontà della parte sia stata anche solo implicitamente manifestata nell’atto, dovendosi pertanto avere riguardo al tenore dello stesso ed al suo complessivo significato. Potrebbe dirsi che questa sentenza si sia limitata ad affermare la necessità di un’analisi in concreto del mandato, confermando la possibilità che la procura risulti validamente conferita anche solo per implicito, e non expressis verbis. È però nella risoluzione del caso ad esse in quell’occasione demandato che le Sezioni Unite hanno reso la decisione più precisamente rilevante per la vicenda di cui alla sentenza in commento. Il tenore letterale della procura di cui al procedimento Manzella, oggetto di intervento delle Sezioni Unite, era infatti il seguente: “Sig. avv. … vi nominiamo e costituiamo quale Ns difensore, nonché procuratore speciale ai fini della costituzione di parte civile nel procedimento penale n. …, a carico di …, conferendovi ogni più ampia facoltà di legge ed approvando sin d’ora il vostro operato” (subito si evidenzia la coincidenza, quasi letterale, di questa formula con quella, sopra riportata, utilizzata dalla Parte Civile nel procedimento di cui alla sentenza in commento).
Le Sezioni Unite hanno quindi ritenuto che il suddetto mandato contenesse inconfutabilmente sia la procura alle liti (“vi nominiamo e costituiamo quale Ns difensore”) sia il conferimento di un personale potere processuale, ex art. 76 e 122 c.p.p. (“nonché procuratore speciale ai fini della costituzione di parte civile”), Senonchè l’impiego delle movenze terminologiche “nel procedimento penale n. …”,”con ogni più ampia facoltà di legge”, “approvando sin da ora il vostro operato”, afferisce esclusivamente - com’è altrettanto evidente - al mandato per la costituzione di parte civile. Non è infatti, ricollegabile in alcun modo […] al conferimento della procura alle liti3, che risulta invece rilasciata puramente e semplicemente, senza alcuna ulteriore manifestazione di volontà”.
Continuano poi le stesse Ss. Uu., a riguardo della clausola di approvazione preventiva dell’operato del difensore, affermando che: “Tale manifestazione di volontà, risolventesi in una mera clausola di stile, attiene, come detto, soltanto alla costituzione di parte civile”. La conclusione cui la Suprema Corte, nella sua più autorevole composizione, giunge, è pertanto inevitabile: “l’impossibilità di interpretare l’atto nel senso di comprendere anche il potere del difensore di proporre appello è innegabile”. Ciò d'altronde appare in linea con quanto prevede lo stesso art. 122 c.p.p., dove è previsto che la procura rilasciata per il compimento di uno specifico atto, normalmente riservato alla parte, debba “contenere, oltre alle indicazioni richieste specificamente dalla legge, la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce”: tale formulazione impone un minimum di determinatezza quanto all'oggetto ed al contenuto della procura ad hoc 4, che non può chiaramente soddisfarsi con espressioni troppo ampie e generiche, le quali, per voler dire e contenere tutto, finiscono invece per non dire nulla.
La Corte d’Assise d’Appello di Venezia pertanto, richiamata questa pronuncia e rilevata la pressoché letterale coincidenza delle due procure, non ha potuto fare altro che procedere alla luce dell’interpretazione fatta propria dalla Suprema Corte nel caso identico ora visto, così affermando: “seguendo l’anzidetto orientamento interpretativo, pur in un quadro potenzialmente aperto, non vi sono frasi (ancorché di stile) che consentano di ritenere conferito anche il mandato di proporre impugnazione”.
Invero solo all’udienza il Difensore di Parte Civile produceva nuova procura speciale ex art. 122 c.p.p., la quale espressamente contemplava il potere di proporre appello avverso la sentenza di I grado: la Corte Distrettuale però, non solo ha tratto da ciò un’ulteriore conferma in ordine all’interpretazione data della prima procura (“un tanto, del resto, non è sfuggito alla stessa parte civile che, invero [...] si era fatta rilasciare espressa e specifica procura speciale, che però, non risulta versata in atti ed è stata offerta alla Corte solo all'odierna udienza”), ma ha altresì ritenuto che tale produzione fosse ineludibilmente tardiva “rispetto al momento, cui solo deve farsi riferimento, della proposta impugnazione”. Per tale ragione questa seconda procura non è valsa a sanare il vizio riconosciuto dal giudice, con la conseguente decisione nel senso dell’inammissibilità dell’impugnazione per difetto di legittimazione in capo al Difensore che la propose.
4. Conclusivamente, può allora confermarsi la regola secondo la quale al difensore di parte civile non sia riconosciuto autonomo potere di impugnazione, essendo necessario, a tal fine, che egli sia munito di apposita procura (ex art. 122 c.p.p.). Il contenuto della procura non deve necessariamente contenere formule espresse ed esplicite di conferimento del potere in parola, essendo sufficiente (ma indispensabile) che la relativa volontà di conferirlo sia desumibile con certezza dal complessivo tenore dell’atto. Ed in particolare, l’uso di espressioni estremamente generiche e che rasentino la natura meramente ‘di stile’, quali quelle su esposte, non può considerarsi sufficiente ai fini della legittimazione del difensore, dovendosi richiedere un’indicazione più puntuale e precisa dell'oggetto e dei fatti in relazione ai quali la procura è conferita e non potendo a tal fine bastare l'indicazione del numero del procedimento e lo 'stilistico' conferimento di ‘ogni facoltà di legge.
Infine, ma la questione sarà oggetto di ulteriore giudizio in sede di legittimità, l’atto di legittimazione ad impugnare dovrà essere prodotto al più tardi al momento della proposizione dell'impugnazione, a nulla valendo la sua esibizione in sede di giudizio, per di più dopo che la relativa eccezione è stata sollevata dal difensore di altra parte.
5. Altro profilo trattato dalla pronuncia in commento, concerne la conversione in appello del ricorso per cassazione proposto dal P.G., ai sensi dell'art. 580 c.p.p.5. Finalità della regola di cui all'art. 580 c.p.p. è, infatti, quella di evitare che a seguito della proposizione di molteplici e diverse impugnazioni nei confronti della medesima sentenza vengano ad instaurarsi più procedimenti distinti, con conseguenze inaccettabili sotto il profilo della frammentazione di un unico processo e del rischio di futuri contrasti di decisioni su medesime vicende6.
Con la L. n. 46 del 2006 si è modificato l'art. 580 c.p.p., prevedendo che la regola della conversione operi “nel caso in cui sussista la connessione di cui all'articolo 12: sarebbe però assurdo che la conversione non operasse nel caso di distinte impugnazioni su diversi capi e punti della medesima sentenza concernente un unico reato ed un unico imputato, ipotesi in cui connessione non può ovviamente esservi7. È la suesposta ratio della norma che lo impone: invero soprattutto in un caso del genere la frammentazione del processo sarebbe ingiustificata ed altresì l'eventualità di contrasti decisionali assolutamente inaccettabile.
Di immediata evidenza sono allora le ragioni che hanno posto il problema della conversione alla Corte di Assise di Venezia: per la medesima sentenza vi erano un unico imputato ed un unico reato, ed avverso la stessa era stato proposto appello di Parte Civile e ricorso per cassazione del Procuratore Generale, il primo in ordine alle statuizioni civili ed il secondo in punto pena.
Invero, si trattava di capire se, dichiarato inammissibile l'appello della Parte Civile, operasse o meno la conversione, determinando quindi la prosecuzione o la cessazione del giudizio avanti la Corte d'Assise d'Appello: è infatti chiaro che, concludendosi per l'operatività della conversione, il giudice distrettuale sarebbe stato investito del giudizio in ordine all'impugnazione del Pubblico Ministero, nonostante la già dichiarata inammissibilità dell'impugnazione di merito della Parte Civile.
6. Il primo argomento che fonda la decisione della Corte veneta, attiene alla considerazione del fondamento e della funzione dell'istituto di cui all'art. 580 c.p.p..
Ed invero, come detto, la ratio della regola della conversione è riconducibile ai rischi ed agli inconvenienti derivanti dalla frammentazione del medesimo processo: sdoppiamento di giudizi e possibile contrasto di decisioni sugli stessi fatti o su fatti connessi.
Nel caso nostro quindi era venuto meno lo stesso presupposto di operatività della regola: invero l'appello è stato ritenuto inammissibile ex art. 591 c.p.p., perciò la frammentazione del processo non poteva in concreto verificarsi. Significativo precedente giurisprudenziale è dato dalla sentenza Cass., sez. IV, 24 febbraio 1992, Vignoli (in Cass. Pen. 1993, 354, con nota di SPANGHER): in tale sede infatti fu ritenuto inammissibile l'appello (dell'imputato), per cui tale impugnazione non poteva produrre alcuno degli effetti suoi propri, in particolare quello della conversione.
Con riferimento a questa decisione, autorevole dottrina ha precisato che non solo l'atto di gravame, essendo invalido, non può produrre alcun effetto che gli sarebbe proprio, ma altresì che “un giudizio unitario [...] non ha ragione di sussistere, difettando il suo presupposto”, così dovendosi concludere per l'inoperatività dell'istituto di cui all'art. 580 c.p.p.8. In accordo con questa interpretazione, la Corte distrettuale ha ritenuto che non essendoci (valido) appello, non sussistessero i presupposti giustificativi della conversione del ricorso del P.G., così spogliandosi del giudizio in favore della Corte di Cassazione.
7. In giurisprudenza e dottrina non sono mancate voci e pronunce che sostenevano la tesi della conversione anche in caso di inammissibilità dell'appello9, per lo più sulla base del rilievo che il giudice d'appello, dovendo dichiarare l'inammissibilità della stessa impugnazione di merito, veniva comunque investito del giudizio. A questo orientamento la Corte di Assise di Appello di Venezia ha però preferito quello opposto, concludendo nel senso della non operatività della conversione, dovuta alla presenza di vizi originari dell'appello: soluzione invero preferibile alla luce anche della recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte. La composizione più autorevole della Corte di legittimità propone infatti una ricostruzione dell'inammissibilità - quale vizio originario dell'impugnazione - dagli effetti assai radicali10: le Sezioni Unite hanno prima chiarito, riferendosi alle ipotesi di inammissibilità originaria dell'impugnazione, che essa “si caratterizza per l'inidoneità dell'atto di parte a mantenere in vita il rapporto processuale” Cass., sez. un., 3 novembre 1998, n. 11493, in Arch. nuova proc. pen. 1998, 827), ed infine affermato che l'inammissibilità dell'impugnazione (nella specie ricorso per cassazione) preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione (Cass., sez. un., 22 Marzo 2005, n. 23428, in Cass. pen. 2005, 2910). La presenza di un vizio di inammissibilità dell'impugnazione ha perciò conseguenze di notevole importanza: si preclude addirittura la possibilità di rilevare l'intervenuta prescrizione, in quanto il rapporto processuale non è stato validamente prolungato; il giudicato si formerà pertanto sulla prima sentenza, alla data della sua ‘naturale’ irrevocabilità, da individuarsi alla stregua dell'art. 585 c.p.p., valendo per l'impugnazione inammissibile la regola del 'tamquam non esset'. Coerentemente con queste premesse, non si può non concludere nel senso che la portata dell'inammissibilità dell'impugnazione è tale da impedire anche l'operare della conversione ex art. 580 c.p.p.11: se l'appello non ha tenuto in vita il rapporto processuale (con riferimento ai capi oggetto di questo gravame), il giudice d'appello non può venire investito della vicenda (tanto è vero che nemmeno può prosciogliere l'imputato rilevando l'intervenuta prescrizione), tantomeno per effetto di una impugnazione diversa ed a lui non originariamente diretta, quale il ricorso per cassazione proposto da altra parte processuale.
8. Come detto, la decisione in commento si fonda su ambo i profili ora visti. La Corte d'Assise d'Appello di Venezia ha infatti motivato la sua decisione prima riferendosi alla ratio dell'art. 580 c.p.p., affermando:”la ragione della conversione,stabilita dall'art. 580 Cpp, è quella della necessità di garantire il simultaneus processus (per economia processuale ed altresì per evitare possibili difformità di giudizi). Quando però la dichiarata inammissibilità dell'appello rende non più sussistente tale ragione, è di conseguenza che la conversione non debba più operare, di tal che l'impugnazione dell'altra parte riacquista la sua valenza originaria di ricorso”. Infine, quasi a confermare la validità di questa interpretazione, la Corte veneta, richiamando Cass., sez. IV, 13 settembre 1994, Zuliani, e agevolmente collocandosi nel filone interpretativo su visto in tema di vizi originari dell'impugnazione, così prosegue: “poiché il difetto di legittimazione nell'appellante deve ritenersi vizio originario, non resta che dare convinta applicazione a tale massima giurisprudenziale”, ovvero ritenere inoperante la conversione quale conseguenza del vizio originario dell'appello, che preclude in radice il coinvolgimento di questo giudice, disponendo perciò la trasmissione degli atti avanti la Corte di Cassazione, per il fisiologico seguito del ricorso proposto dal Procuratore Generale. [Giovanni Lamonica, Andrea Toninello]


Note

1 VESSICHELLI, nota a Cass. S.U., 27 ottobre 2004, Mazzarella, in Cass. Pen. 2005, p. 383. Precisa l’A. che non è nemmeno previsto il potere di impugnazione personale della parte civile, dovendo essa infatti munirsi necessariamente di difensore officiato con procura speciale, posto che l’attribuzione di analogo potere personalmente all’imputato è norma derogatoria eccezionale, giustificata dal fatto che l’imputato è il soggetto più bisognevole di garanzie e strumenti di difesa nel procedimento penale. Così anche BRONZO, in LATTANZI, LUPO, Codice di procedura penale commentato - Rassegna di giurisprudenza e dottrina, I, Milano, Giuffrè, 2003, 1186.


2 Si veda BRONZO, in LATTANZI, LUPO, cit., 1184.

3 Sulla riconducibilità del potere di proporre impugnazione in capo al mandato ad litem o ad una procura ad hoc, la sentenza delle S.U. citata non appare molto precisa, pur conservando il suo insegnamento pieno valore: v. VESSICHELLI, nota a Cass., S.U, 27 ottobre 2004, Manzella, cit., 402.

4 In tal senso si veda anche MENDOZA, in LATTANZI, LUPO, Codice di procedura penale - Rassegna di giurisprudenza e dottrina, II, Milano, Giuffrè, 2003, 111: “Il potere rappresentativo deve risultare in modo inequivoco dal contenuto dell'atto [...] nulla vieta che il mandato sia rilasciato per il conferimento di poteri inerenti a tutto il corso di una procedura, sempre che siano osservate le prescrizioni per la necessaria determinazione dell'oggetto e dei fatti cui il mandato si riferisce”.

5 Si ricordi che è pacifico in giurisprudenza il principio in base al quale la conversione del ricorso del P.M. in appello, in caso di appello dell'imputato, operi anche con riguardo alle sentenze di condanna rese a seguito di giudizio abbreviato, sebbene esse siano di regola inappellabili dalla parte pubblica, ex art. 443, co. III c.p.p.: DE ROBERTO, in LATTANZI, LUPO, cit., 371.

6 Così ad es. DE ROBERTO, in LATTANZI, LUPO, Codice di procedura penale - Rassegna di giurisprudenza e dottrina, VIII, Milano, Giuffrè, 2003, 367.

7 NAPPI, Guida al codice di procedura penale, Milano, Giuffrè, 2007, 893.

8 Così SPANGHER, nota a Cass., sez. IV, 24 febbraio 1992, Vignoli, in Cass. Pen. 1993, 358.


9 Per le quali si rinvia a DE ROBERTO, in LATTANZI, LUPO, cit., 367-371.


10 Si veda sul punto UFFICIO DEL MASSIMARIO DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, La giurisprudenza delle Sezioni Unite penali - anno 2005, Milano, Giuffrè, 2006, 71.


11 Concorde sul punto anche NAPPI, Guida, cit. 894.

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