La rassegna di dottrina e giurisprudenza del Corso nazionale di formazione specialistica dell'avvocato penalista organizzato dall'Unione delle Camere penali italiane in collaborazione con il Centro per la formazione e l'aggiornamento professionale degli avvocati del Consiglio Nazionale Forense.

30 luglio 2007

Sezioni Unite: Sentenza. 30347 UD. 12/07/2007 - DEPOSITO DEL 26/07/2007


dal sito della Suprema Corte

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PROVE - INTERCETTAZIONI , UTILIZZO DI IMPIANTI ESTERNI �MOTIVAZIONE DEL DECRETO
Intervenendo nuovamente in materia di intercettazioni, le Sezioni Unite hanno confermato gli approdi esegetici del percorso unitario segnato dalle sentenze S.U., 21/6/2000, Primavera, S.U., 31/10/2001, Policastro, S.U., 26/11/2003, Gatto e S.U., 29/11/2005, Campennj, ed hanno ribadito i seguenti principi di diritto:
a) l'obbligo di motivazione del decreto del p.m., con il quale si dispone l'esecuzione delle operazioni intercettative mediante impianti diversi da quelli in dotazione all'ufficio di Procura, non può ritenersi assolto con il semplice riferimento all'insufficienza o inidoneitù degli impianti dell�ufficio, che si limiti a ripetere la formula legislativa;
b) qualora non sia assolto dal p.m. l'obbligo motivazionale nei termini sopra indicati, non è consentito al giudice colmare tale mancanza nel giudizio di merito o di legittimità con l'individuazione, in tali sedi, delle effettive ragioni dell'insufficienza o inidoneità degli impianti dell'ufficio, sulla base di atti del processo diversi dal decreto del p.m. e da quelli che lo integrano per relationem.
Testo Completo:

Sentenza n. 30347 del 12 luglio 2007 - depositata il 26 luglio 2007

(Sezioni Unite Penali, Presidente G. Pioletti, Relatore F. Marzano)


Documenti:

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25 luglio 2007

Il Programma del sesto weekend

Unione delle Camere Penali Italiane
Centro Formazione e Aggiornamento Professionale degli Avvocati

X CORSO NAZIONALE
DI
FORMAZIONE SPECIALISTICA DELL’AVVOCATO PENALISTA
FEBBRAIO –NOVEMBRE 2007
ROMA- Sala Cesarini del Grand Hotel Palatino
(via Cavour n. 213/m – tel. 06.4814972, fax 06.4740726)




Programma sesto week-end

28 - 30 settembre 2007


VENERDI’ 28 SETTEMBRE


Ore 16.00 Stampa, difesa e giudizio

Dott.ssa Elisa ANSALDO – Giornalista RAI UNO

Avv. Domenico CIRUZZI – Foro di Napoli

Dott. Luigi LANZA – Presidente Corte di Assise di Appello di Venezia


Ore 18.45 Pausa


Ore 19.00 Dibattito e domande dei corsisti


Ore 20.00 Conclusione dei lavori


SABATO 29 SETTEMBRE


Ore 9.00 La sentenza di 1° grado e l’impugnazione

Avv. Prof. Vincenzo MAIELLO – Foro di Nola – Giunta UCPI


Ore 10.45 Pausa


Ore 11.00 Le tecniche di redazione dell’atto di appello

Avv. Bartolo IACONO – Foro di Modica – Giunta UCPI


Ore 13.00 Conclusione dei lavori


Ore 15.00 Il Difensore nel giudizio di appello

Avv. Eriberto ROSSO – Foro di Firenze – Giunta UCPI


Ore 16.45 Pausa


Ore 17.00 La tecnica dell’esprimersi

Avv. Alarico MARIANI MARINI – Vice Presidente Scuola Superiore Avvocatura


Ore 19.00 Conclusione dei lavori


DOMENICA 30 SETTEMBRE


Ore 9.00 Ricordi di Avvocato nel processo inquisitorio

Prof. Giuliano VASSALLI – Presidente Emerito Corte Costituzionale


Speranze degli avvocati nel processo accusatorio

Avv. Ettore RANDAZZO – Responsabile Scuole UCPI


Ore 12.00 Conclusione dei lavori

24 luglio 2007

Regolamento sulla formazione continua : le osservazioni delle Associazioni forensi . Dal sito dell'UCPI.

Al Presidente del Consiglio Nazionale Forense
Ai signori Consiglieri del C.N.F.

Oggetto: Regolamento sulla Formazione Continua
Le associazioni forensi A.G.I., A.I.A.F., U.C.P.I. e U.N.C.A.T.,

preso atto

dell’approvazione da parte del C.N.F. in data 13 luglio 2007 del Regolamento sulla Formazione Continua degli avvocati;

valutato

- che la versione recentemente approvata, nel prevedere la possibilità che il C.N.F. stipuli con le associazioni forensi “specifici protocolli, applicabili anche in sede locale, allo scopo di semplificare ed accelerare le procedure di accreditamento degli eventi programmati e di quelli ulteriori”, dà atto della necessità di privilegiare, rispetto ad “altri enti, istituzioni od organismi pubblici o privati”, la capacità formativa della Associazioni Forensi, a livello nazionale e locale, ed in tal senso rappresenta un piccolo passo avanti rispetto ai testi in precedenza valutati;
- che inoltre deve cogliersi con apprezzamento il richiamo, contenuto nel regolamento, all’esercizio dell’attività forense “specialistica” ed alla necessità di un regolamento che ne contenga autonoma disciplina;
- che è peraltro indubbio, atteso il tenore dell’espressione usata, che con la locuzione di “attività specialistica” ci si riferisca all’effettivo esercizio dell’attività forense in un dato settore specialistico, indipendentemente dal conseguimento o meno di diplomi di carattere universitario, cui si fa riferimento nel codice deontologico forense;

valutato altresì

- che invece, sul piano della effettività della qualificazione professionale e della osservanza dell’obbligo di verità nella spendita delle competenze, il regolamento, e prima ancora il codice deontologico forense, continuano a manifestare tutta la loro lacunosità ed equivocità, e ciò nonostante le osservazioni critiche mosse a più riprese dalle scriventi associazioni e da taluni ordini forensi;
- che l’introduzione dell’equivoco concetto di “attività prevalente” è apparsa immediatamente, e vieppiù alla luce della disciplina contenuta nel Regolamento, una scelta del tutto inadeguata a garantire il preteso obiettivo di competenza nell’esercizio professionale e trasparenza nell’informazione;
- che la mancata definizione dei tre diversi tipi di attività professionale (generalista, prevalente, specialistica), indicati nel Regolamento, è destinata a generare una pericolosa sovrapposizione fra le stesse, con conseguente inidoneità della eventuale indicazione a consentire effettiva informazione al cittadino in merito alle reali competenze del professionista;
- che inoltre, l’aver completamente trascurato di ancorare la facoltà di informazione circa l’attività prevalente alla prevalenza effettiva dell’esercizio professionale nel settore prescelto consentirà la spendita di competenze mai effettivamente maturate, con conseguente violazione (legittimata dal regolamento medesimo) degli obblighi di competenza e verità;

ritenuto

- che è dunque urgente, vista anche la prossima entrata in vigore del Regolamento sulla Formazione Continua, convenire i contenuti dei protocolli previsti dall’art.3 comma 4 del medesimo;
- che inoltre, al fine di consentire effettività alla qualificazione professionale ed alla informazione sulla medesima, è necessario modificare il codice deontologico forense, introducendo la facoltà di informazione circa l’eventuale specializzazione professionale forense e disciplinandola in maniera autonoma e diversa rispetto alla facoltà di informazione circa l’eventuale attività prevalente svolta;
- che allo scopo è dunque necessario porre mano, fin dal mese di settembre 2007, ad un regolamento che disciplini la specializzazione professionale forense, con particolare riguardo ai requisiti necessari per il conseguimento del titolo di specialista e per il suo mantenimento, alle condizioni per la sua spendita ed alle sanzioni per l’eventuale abuso del titolo;

invita

il Consiglio Nazionale Forense a Voler fin d’ora convocare le Associazioni Forensi per il mese di settembre 2007 al fine di individuare i contenuti del prossimo Regolamento sulla Specializzazione Forense e dettarne la disciplina.



Roma, 24 luglio 2007


A.G.I.

A.I.A.F.

U.C.P.I.

U.N.C.A.T.

23 luglio 2007

Sentenza n. 27614 ud. 29/03/2007 - deposito del 12/07/2007

IMPUGNAZIONI – APPELLO DEL P. M. - L. N. 46 DEL 2006 – CORTE COST. N. 26 DEL 2007 – EFFETTI
La sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 1 legge n. 46 del 2006, di novella dell’art. 593 c.p.p. in punto di inappellabilità per il pubblico ministero delle sentenze di proscioglimento, e della conseguente disciplina transitoria di cui all’art. 10, comma, l. cit., relativa alla declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto prima dell’entrata in vigore della legge medesima, non spiega effetti nel caso in cui il pubblico ministero, astenendosi da ogni iniziativa di impugnazione, abbia di fatto prestato acquiescenza alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello da lui proposto, così esaurendosi il rapporto di impugnazione.


IMPUGNAZIONI – APPELLO, AGLI EFFETTI PENALI, DELLA PARTE CIVILE - L. N. 46 DEL 2006 - ABROGAZIONE DELL’ART. 577 C.P.P. – EFFETTI

L’abrogazione ad opera della legge n. 46 del 2006 dell’art. 577 c.p.p., che prevedeva l’appello, agli effetti penali, della persona offesa costituita parte civile nei procedimenti per i reati di ingiuria e diffamazione, non incide, in ragione dell’operatività del principio tempus regit actum, sull’appello proposto prima dell’entrata in vigore della novella. La Corte ha inoltre precisato che, per la corretta delimitazione dell’ambito operativo del principio intertemporale, occorre aver riguardo al tipo di atto processuale che viene in rilievo e che, nella specie, il momento rilevante è quello della pronuncia della sentenza.



IMPUGNAZIONI – L. N. 46 DEL 2006 – POTERE DI APPELLO, AI SOLI EFFETTI CIVILI, DELLA PARTE CIVILE CONTRO LE SENTENZE DI PROSCIOGLIMENTO - SOPRAVVIVENZA

Le Sezioni unite hanno infine affermato, in continuità con le statuizioni, pure incidentalmente affermate da Sez. un., 11 luglio 2006, Negri, n. 25083, che, pur dopo l’entrata in vigore della legge n. 46 del 2006, che ha novellato l’art. 576 c.p.p. sul potere di impugnazione della parte civile, questa conserva il diritto di appello, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio di primo grado.

Il provvedimento completo dal sito della Corte di Cassazione

17 luglio 2007

Formazione continua: il Regolamento del CNF, approvato il 13 luglio 2007.

REGOLAMENTO PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA


Articolo 1
Formazione professionale continua

1. L'avvocato iscritto all'albo ed il praticante abilitato al patrocinio, dopo il conseguimento del certificato di compiuta pratica hanno l'obbligo di mantenere e aggiornare la propria preparazione professionale .
2. A tal fine, essi hanno il dovere di partecipare alle attività dí formazione professionale continua disciplinate dal presente regolamento, secondo le modalità ivi indicate.
3. L'adempimento di tale dovere, con riferimento agli ambiti in cui si comunca di esercitare l'attività professionale prevalente, è, altresì, condizione per la spendita deontologicamente corretta, ai sensi dell'art. 77 bis del codice deontologico forense, dell'indicazione dell'attività prevalente in qualsiasi comunicazione diretta al singolo o alla collettività.
4. Con l'espressione formazione professionale continua si intende ogni attività di accrescimento ed approfondimento delle conoscenze e delle competenze professionali, nonchè il loro aggiornamento mediante la partecipazione ad iniziative culturali in campo giurdico e forense.

Articolo 2
Durata e contenuto dell'obbligo


1. L'obbligo di formazione decorre dal 1° gennaio dell'anno solare successivo a quello di iscrizione all'albo o di rilascio del certificato di compiuta pratica, con facoltà dell'interessato di chiedere ed ottenere il riconoscimento di crediti formativi maturati su base non obbligatoria, ma in conformità alle previsioni del presente regolamento, nel perioodo intercorrente fravla data d'iscrizione all'albo o del rilascio del certificato di compiuta pratica dell'inizio dell'obbligo formativo.L'anno formativo coincide con quello solare.
2.lI periodo di valutazione della formazione continua ha durata triennale.
L'unità di misura della formazione continua è il credito formativo.
3. Ogni iscritto deve conseguire nel triennio almeno n. 90 crediti formativi, che sono attribuiti secondo i criteri indicati nei successivi artt. 3 e 4, di cui almeno n. 20 crediti formativi debbono essere conseguiti in ogni singolo anno formativo.
4. Ogni iscritto sceglie liberamente gli eventi e le attività formative da svolgere, in relazione ai settori di attività professionale esercitata,nell'amblto di quelle indicate ai successivi articoli 3 e 4, ma almeno n. 15 crediti formativi nel triennio devono derivare da attività ed eventi formativi aventi ad oggetto l'ordinamento professionaIe e previdenziale e la deontologia.
5. L'iscritto che, dando con qualunque modalità consentita informazione a terzi, intenda fornire Ie indicazioni di cui al precedente articolo 1 , comma 3, dovrà aver conseguito, nel periodo di valutazione che precede l'informazione, non meno di 30 crediti formativi nell'ambito di esercizio dell'attività professionale che intende indicare .

Articolo 3
Eventi formativi


1. lntegra assolvimento degli obblighi di formazione professionale continua la partecipazione effettiva e adeguatamente documentata agli eventi di seguito indicati:
a) corsi di aggiornamento e masters, seminari, convegni, giornate di studio e tavole rotonde, anche se eseguiti con modalità telematiche, purchè sia possibile il controllo della partecipazione.
b) commissioni di studio, gruppi di lavoro o commissioni consiliari, istituiti dal Consiglio nazíonale forense e dai Consigli dell'ordine, o da organismi nazionali ed internazionali della categoria professionale.
c) altri eventi specificamente índividuati dal Consiglio nazionale forense e dai Consigli dell'ordine.
2. La partecipazione agli eventi formativi sopra indicati attribuisce n. 1 credito formativo per ogni ogni ora di partecipazione, con il limite massimo di n.24 crediti per la partecipazione ad ogni singolo evento formativo.
3. La partecipazione agli eventi di cui alle leftere a) e b) rileva ai fini dell'adempimento del dovere di formazione continua, a condizione che essi siano promossi od organanizzati dal Consiglio nazionale forense o dai singoli Consigli dell'ordine territoriali, o, se organizzati da associazioni forensi, altri enti, istituzioni od organismi pubblici o privati, sempre che siano stati preventivamente accreditati, anche sulla base di programmi a durata semestrale o annuale, dal Consiglio nazionale forense o dai singoli Consigli dell'ordine territoriali, a seconda della rispettiva competenza.
A tal fine:
- appartiene alla competenza del Consiglio nazionale forense l'accreditamento di eventi da svolgersi all'estero, che siano organizzati da organismi stranieri, ovvero -a richiesta dei soggetti organizzatori- quelli che prevedono la ripetizione di identici programmi in più circondari o distretti;
- appartiene alla competenza dei singoli Consigli dell'ordine territoriali l'accreditamento di ogni altro evento, in ragione del suo luogo di svolgimento.
4. L'accreditamento viene concesso valutando la tipologia e la qualità dell'evento formativo, nonché gli argomenti trattati. A tal fine gli enti ed associazioni che intendono ottenere l'accreditamento preventivo di eventi formativi da loro organizzati devono presentare al Consiglio dell'ordine locale ovvero al Consiglio nazionale forense, secondo la rispettiva competenza, una relazione dettagliata con tutte le indicazioni necessarie a consentire la piena valutazione dell'evento anche in relazione alla sua rispondenza alle finalità del presente regolamento..
A tal fine il Consiglio dell'ordine o il Consiglio nazionale forense richiedono, ove necessario, informazioni o documentazione e si pronunciano sulla domanda di accreditamento con decisione motivata entro quindici giorni dalla data di deposito della domanda o delle informazioni e della documentazione richiesta.
In caso di silenzio protratto oltre 1l quindicesimo giorno l'accreditamento si intende concesso.
il Consiglio dell'ordine competente o il Consiglio nazionale forense potranno accreditare anche eventi non programmati, a richiesta dell'interessato e con decisione motivata da assumere entro il termine di quindici giorni dalla richiesta, in caso di mancata risposta entro il termine indicato, l'accreditamento si intenderà concesso.
Il Consiglio nazionale forense può stipulare con la Cassa Nazionale di previdenza e assistenza forense e con le Associazioni forensi riconosciute maggiormente rappresentative sul piano nazionale dal Congresso nazionale forense specifici protocolli, applicabili anche in sede locale, allo scopo di semplificare ed accelerare le procedure di accreditamento degli eventi programmati e di quelli ulteriori.
5. Ciascun Consiglio dell'ordine dà immediata notizia al Consiglio nazionale forense di tutti gli eventi formativi da esso medesimo organizzati o altrimenti accreditati. Il Consiglio nazionale forense ne cura la pubblicazione nel suo sito Internet per consentire la loro più vasta diffusione e conoscenza anche al fine di permettere la partecipazione a detti eventi di iscritti in albi e registri tenuti da altri Consigli.

Articolo 4
Attività formative

Integra assolvimento degli obblighi formazione professionale continua anche lo svolgimento delle attività di seguito indicate:

a) relazioni o lezioni negli eventi formativi di cui alle lettere a) e b) dell'art. 3, ovvero nelle scuole forensi o nelle scuole di specializzazione per le professioni legali;
b) pubblicazioni in materia giuridica su riviste specializzate a diffusione o di
rilevanza nazionale, anche on line, ovvero pubblicazioni di libri, saggi, monografie
o trattati, anche come opere collattanee, su argomenti giuridici;
c) contratti di insegnamento in materie giuridiche stipulati con istituti universitari
ed enti equiparati;
d) partecipazione alle commissioni per gli esami di Stato di avvocato, per tutta la durata dell'esame.
e) il compimento di altre attività di studio ed aggiornamento svolte in autonomia nell'ambito della propria organizzazione professionale, che siano state preventivamente autorizzate e riconosciute come tali dal Consiglio nazionale forense o dai Consigli dell'ordine competenti.
2. Il Consiglio dell'ordine attribuisce i crediti formativi per le attività sopra indicate, tenuto conto della natura della attività svolta e dell'impegno dalla stessa richiesto, con il limite massimo di n. 72 crediti per le attività di cui alla lettera a) e di n. 12 crediti per le attività di cui alla lettera b), di n. 24 crediti per le attività di cui alla lettera c), di n. 24 crediti per le attività di cui alla lettera d) e di n. 12 crediti annuali per le attività di cui alla lettera e).

Articolo 5
Esoneri

1. Sono esonerati dagli obblighi formativi, relativamente alle materie di insegnamento, ma fermo l'obbligo di aggiornamento in materia deontologica, previdenziale e di ordinamento professionale, i docenti universitari di prima e seconda fascia, nonché i ricercatori con incarico di insegnamento.
2. Il Consiglio dell'ordine, su domanda dell'interessato, può esonerare, anche parzialmente determinandone contenuto e modalità, l'iscritto dallo svolgimento dell' attività formativa, nei casi di:
- gravidanza, parto, adempimento da parte dell'uomo o della donna di doveri collegati alla paternità o alla maternità in presenza di figli minori;
- grave malattia o infortunio od altre condizioni personali;
- interruzione per un periodo non inferiore a sei mesi dell'attività professionale o
trasferimento di questa all' estero;
- altre ipotesi indicate dal Consiglio nazionale forense.
I1 Consiglio dell'ordine può altresì dispensare dall'obbligo formativo, in tutto o in parte l'iscritto che ne faccia domanda e che abbia superato i 40 anni di iscrizione all'albo, tenendo conto, con decisione motivata, del settore di attività, della quantità e qualità della sua attività professionale e di ogni altro elemento utile alla valutazione della domanda.
3. L'esonero dovuto ad impedimento può essere accordato limitatamente al periodo
di durata dell' impedimento.
4. All'esonero consegue la riduzione dei crediti formativi da acquisire nel corso del
triennio, proporzionalmente alla durata dell'esonero, al suo contenuto ed alle sue
modalità, se parziale.

Articolo 6
Adempimenti degli iscritti e inosservanza dell'obbligo formativo


1. Ciascun iscritto deve depositare al Consiglio dell'ordine al quale e iscritto una sintetica relazione che certifica 1l percorso formativo seguito nell'anno precedente, indicando gli eventi formativi seguiti, anche mediante autocertificazione.
2. Costituiscono illecito disciplinare il mancato adempimento dell'obbligo formativo
e la mancata o infedele certificazione del percorso formativo seguito.
3.La sanzione e commisurata alla gravità della violazione.

Articolo 7
Attività del Consiglio dell'ordine

7. Ciascun Consiglio dell'ordine dal attuazione alle attività di formazione professionale e vigila sull'effettivo adempimento dell'obbligo formativo da parte degli iscritti nei modi e con i mezzi ritenuti più opportuni, regolando le modalità del rilascio degli attestati di partecipazione agli eventi formativi organizzati dallo stesso Consiglio.
2. In particolare, i Consigli dell'ordine, entro il 31 ottobre di ogni anno predispongono anche di concerto tra loro, un piano dell'offerta formativa che intendono proporre nel corso dell'anno successivo, indicando i crediti formativi attribuiti per la partecipazione a ciascun evento. Nel programma annuale devono essere previsti eventi formativi aventi ad oggetto la materia deontologica, previdenziale e l' ordinamento professionale
3. I Consigli dell'ordine realizzano 1l programma,anche di concerto con altri Consigli dell'ordine o nell'ambito delle Unioni distrettuali, ove costituite. Possono realizzarlo anche in collaborazione con Associazioni forensi, o con altri enti che
non abbiano fini di lucro, avvalendosi, se lo ritengano opportuno, di apposito ente da essi costituito, partecipato e comunque controllato. Essi favoriscono la formazione gratuita in misura tale da consentire a ciascun iscritto l'adempimento dell'obbligo formativo, realizzando eventi formativi non onerosi, allo scopo determinando la contribuzione richiesta ai partecipanti col limite massimo del solo recupero delle spese vive sostenute. A tal fine utilizzeranno risorse proprie o quelle ottenibili da sovvenzioni o contribuzioni erogate da enti finanziatori pubblici o privati. I Consigli potranno inoltre organizzarc attività formative, unitamente a soggetti, anche se operanti con finalità di lucro, sempre che nessuna utilità, diretta o indiretta, ad essi ne derivi, ulteriore rispetto a quella consistente nell'esonero dalle
spese di organizzazione degli eventi.
4. Entro il 31 ottobre di ogni anno, i Consigli dell'ordine sono tenuti a comunicare al Consiglio nazionale forense una relazione che illustri il piano dell'offerta formativa dell'anno solare successivo , ne evidenzi i costi per i partecipanti, segnali i soggetti attuatatori e indichi i criteri e le finalità cui il Consiglio si è attenuto nella predisposizione del programma stesso. Se la programmazione sia avvenuta di concerto con altri Consigli, essi potranno inviare un'unica relazione.
5. I Consiglí dell'ordíne, anche in collaborazione con altri Consigli, con associazioni forensi, enti od istituzioní ed altri soggetti, potranno organizzare nel corso dell'anno eventi formativi ulteriori, rispetto a quelli già programmati, attribuendo i crediti secondo i criteri di cui al precedente art. 3 e dandone comunicazione al Consiglio nazionale forense.

Articolo 8
Controlli del Consiglio dell'ordine


1.Il Consiglio dell'ordine verifica I'effeffivo adempimento dell'obbligo formativo da parte degli iscritti, attribuendo agli eventi e alle attività formative documentate i crediti formativi secondo i criteri indicati dagli art. 3 e 4.
2. ai fini della verifica, il Consiglio dell'ordine deve svolgere attività di controllo, anche a campione, ed allo scopo può chiedere all'iscritto ed ai soggetti che hanno organizzato gli eventi formativi chiarimenti e documentazione integrativa.
3. Ove i chiarimenti non siano forniti e la documentazione integrativa richiesta non sia depositata entro il termine di giorni 30 dalla richiesta, il Consiglio non attribuisce crediti formativi per gli eventi e le attività che non risultino adeguatamente documentate.
4. Per lo svolgimento di tali attività, il Consiglio dell'ordine può avvalersi di apposita commissione, costituita anche da soggetti esterni al Consiglio. In questo caso, il parere espresso dalla commissione è obbligatorio, ma può essere disatteso dal Consiglio con deliberazione motivata.

Articolo 9
Attribuzioni del Consiglio nazionale forense

1. I1 Consiglio nazionale forense:
a) promuove ed indirizza lo svolgimento della formazione professionale continua, individuandone i nuovi settori di sviluppo.
b) valuta le relazioni trasmesse dai Consigli dell'ordine a norma del precedente art.
7, anche costituendo apposite Commissioni aperte alla partecipazione di soggetti esterni al Consiglio nazionale forense, esprimendo il proprio parere sull'adeguatezza dei piani dell'offerta formativa organizzati dai Consigli dell'ordine, eventualmente indicando le modifiche che vi debbano essere apportate, con l'obiettivo di assicurare l'effettività e I'uniformità della formazione continua. ln mancanza di espressione del parere entro il termine di trenta giorni dalla presentazione delle relazioni, 1l programma formativo si intende approvato .
In caso di parere negativo, il Consiglio dell'ordine è tenuto, nei trenta giorni successivi, a trasmettere un nuovo programma formativo, che tenga conto delle indicazioni e dei rilievi formulati dal Consiglio nazionale forense.
2. Esso inoltre, anche tramite la Fondazione Scuola Superiore dell'Avvocatura,la
Fondazione dell'Avvocafura italiana e la Fondazione per l'Informatica e l' innovazione Forense:
a) favorisce l'ampliamento dell'offerta formativa, anche organizzando direttamente eventi formativi, se del caso in collaboruzione con iI C.S.M.;
b) assiste i Consigli dell'ordine nella predisposizione e nell'attuazione dei programmi formatívi e vigila sull'adempimento da parte dei Consigli delle incombenze ad essi affidate:

Articolo 10
Norme di attuazione

I1 Consiglio nazionale forense si riserva di emanare le norme di attuazione e coordinamento che si rendessero necessarie in sede di applicazione del presente regolamento.

Articolo 11
Entrata in vigore e disciplina transitoria

1. I1 presente regolamento entra in vigore dal 1° settembre 2007.
2. Il primo periodo di valutazione della formazione continua decorre dal 1° gennaio 2008.
3. Nel primo triennio di valutazione a partire dall'entrata in vigore del presente regolamento, i crediti formativi da conseguire sono ridotti a venti per chi abbia compiuto entro il 1° settembre 2oo7 od abbia a compiere entro il 1° settembre 2008 il quarantesimo anno d'iscrizione all'albo ed a cinquatanta per ogni altro iscritto, col minimo di 9 crediti per il primo anno formativo, di 12 per il secondo e di 18 per il terzo, dei quali in materia di ordinamento forense, previdenza e deontologia almeno 6 crediti nel triennio formativo.
4. L'articolo 1, comma 3 del presente rcgolamento si applica a partire dal 1° settembre 2008.
5. Per il primo triennio di valutazione l'iscritto che, dando con qualunque modalità consentita informazione a terzi, intenda fornire le indicazioni di cui all'articolo 1, comma 3, dovrà aver conseguito nei 12 mesi precedenti l'informazione non meno di 10 crediti formativi nell'amblto di esercizio dell'attività professionale che intende indicare.

Corte costituzionale, sentenza del 6 luglio 2007, n.254 .

Corte costituzionale

Sentenza 6 luglio 2007, n. 254

[...] nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 102 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), promosso con ordinanza del 4 maggio 2006 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia sul ricorso proposto da B. L., iscritta al n. 605 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 2007.

Visti l'atto di costituzione di B. L., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 maggio 2007 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;

udito l'avvocato Luciano Faraon per B. L. e l'avvocato dello Stato Giovanni Lancia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

RITENUTO IN FATTO

1.- Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, con ordinanza del 4 maggio 2006, ha sollevato, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 102 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui non prevede la possibilità, per lo straniero ammesso al patrocinio a spese dello Stato, di nominare un interprete.

In punto di fatto, il rimettente rileva che B. L., dopo aver chiesto la liquidazione degli onorari per l'opera prestata quale traduttrice tra A. Y., imputata del reato di omicidio, e il suo difensore, vedeva rigettata la propria istanza in quanto, sebbene l'imputata fosse stata ammessa al patrocino a spese dello Stato, il difensore non aveva provveduto a nominarla quale sua consulente.

Il rimettente, investito del giudizio di impugnazione avverso il provvedimento di rigetto sopra indicato, quanto alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza, osserva che il d.P.R. n. 115 del 2002 non contempla «la nomina di un interprete da parte dell'imputato o, comunque, un intervento privato di tale ausiliario, né tanto meno il pagamento del compenso allo stesso da parte dello Stato», limitandosi a prevedere la possibilità di nomina di un sostituto del difensore, di un investigatore e di un consulente tecnico di parte (artt. 101 e 102), precisando, ulteriormente, che il GIP liquida il compenso all'ausiliario del magistrato e non ad altri (art. 105).

A parere del giudice a quo, tale normativa, in quanto pone delle spese a carico dello Stato, ha carattere di eccezionalità e non è suscettibile di applicazione analogica, di talché, seppure l'istituto del patrocinio a spese dello Stato risulta ispirato ai principi di cui al primo e terzo comma dell'art. 24 della Costituzione, non sarebbe possibile liquidare alcun compenso all'interprete nominato dall'imputato, con conseguente violazione del diritto di difesa di quest'ultimo.

In particolare, il rimettente osserva che, una volta ammessa anche per gli stranieri la possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato, deve essere loro conseguentemente consentita la possibilità di nominare un interprete al fine di soddisfare le loro necessità difensive consistenti sia nella traduzione di atti e documenti, sia nella possibilità di poter conferire con il proprio difensore.

2.- Si è costituita in giudizio B. L., parte ricorrente nel giudizio principale, la quale, dopo aver rilevato che il pieno esercizio del diritto di difesa deve essere assicurato anche agli stranieri mediante la conoscenza degli atti processuali che li riguardano, ha chiesto che la Corte dichiari fondata la sollevata questione di legittimità costituzionale.

In particolare, la difesa di B. L. osserva che, sulla base delle norme internazionali - art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; e art. 14, par. 3, lettera f), del Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881 - deve essere garantita allo straniero la presenza gratuita di un interprete di parte. Ciò risulta tanto più necessario nei casi, come quello di specie, in cui l'interprete nominato dall'autorità giudiziaria non sia idoneo allo svolgimento dell'incarico, in quanto l'errata traduzione degli atti processuali ha fatto sì che l'assistita della B. L., da testimone è divenuta imputata del reato di cui all'art. 575 cod. pen.

3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare la questione inammissibile o, in subordine, infondata.

La difesa erariale, in via preliminare, rileva che l'ordinanza di rimessione difetterebbe del requisito della rilevanza, non avendo il rimettente indicato se l'attività svolta dall'interprete nominata dal difensore dell'imputata abbia assunto i caratteri della necessità.

Nel merito, l'Avvocatura osserva che gli artt. 101 e 102 del d.P.R. n. 115 del 2002, nel prevedere la facoltà di nomina, per l'imputato del difensore, di un suo sostituto, di un investigatore privato e di un consulente tecnico, risultano conformi all'art. 24, terzo comma, della Costituzione.

La mancata indicazione dell'interprete nelle norme sopra indicate, infatti, sarebbe giustificata dalla circostanza che l'attività da questo svolta è diretta a rendere comprensibili al difensore e all'imputato le rispettive lingue e, pertanto, non è tipica dell'ufficio di difesa. In ragione di ciò tutte le volte in cui risulti necessaria la nomina di un interprete, il difensore dovrebbe liquidarne il compenso e farsi successivamente rimborsare il relativo importo ex art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia dubita, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 102 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui non prevede la possibilità, per lo straniero ammesso al patrocinio a spese dello Stato, di nominare un proprio interprete.

Il rimettente osserva che tale omessa previsione, non garantendo allo straniero, che non comprende la lingua italiana, il pieno esercizio del diritto di difesa, sarebbe causa del denunciato vulnus costituzionale.

Lamenta, infatti, il giudice a quo che se, da un lato, le norme sul patrocinio a spese dello Stato risultano applicabili anche agli stranieri, in attuazione dei principi di cui all'art. 24 della Costituzione, dall'altro, proprio nel rispetto dei suddetti principi, non può essere negata loro la possibilità di nominare un interprete di parte.

2.- La questione è fondata.

L'art. 102 del d.P.R. n. 155 del 2002 prevede al primo comma che «Chi è ammesso al patrocinio può nominare un consulente tecnico di parte residente nel distretto di corte di appello nel quale pende il processo», e non prevede, altresì, la possibilità per lo straniero, ammesso al gratuito patrocinio, che non conosca la lingua italiana, di ricorrere all'ausilio di un proprio interprete, la cui figura differisce sia da quella del consulente di parte sia da quella dell'interprete nominato dal giudice.

In proposito va rilevato che il codice di procedura penale prevede, agli artt. 143 e seguenti, la figura dell'interprete, attribuendo all'autorità procedente il relativo potere di nomina qualora le parti coinvolte nel processo non ne conoscano la lingua ufficiale (che, in base all'art. 109 cod. proc. pen., è l'italiano), o non la conoscano a sufficienza per affrontare adeguatamente la dinamica processuale. Tale nomina è motivata dalla necessità di garantire all'imputato che non capisce e/o non parla l'italiano il diritto di comprendere le accuse formulate contro di lui e intendere il procedimento al quale partecipa, in modo tale da renderne effettiva la partecipazione. Questa deve avvenire consapevolmente e porre l'imputato in condizione di comprendere il significato linguistico delle espressioni degli altri soggetti processuali, tra le quali quelle del proprio difensore, nonché di esprimersi, a sua volta, essendo da questi compreso.

La partecipazione personale e consapevole dell'imputato al procedimento, mediante il riconoscimento del diritto in capo all'accusato straniero, che non conosce la lingua italiana, di nominare un proprio interprete, rientra nella garanzia costituzionale del diritto di difesa nonché nel diritto al giusto processo, in quanto l'imputato deve poter comprendere, nella lingua da lui conosciuta, il significato degli atti e delle attività processuali, ai fini di un concreto ed effettivo esercizio del proprio diritto alla difesa (art. 24, comma secondo, della Costituzione). Inoltre, l'art. 111 della Costituzione stabilisce che la legge assicura che «la persona accusata di un reato sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo».

I principi costituzionali sopra riportati trovano riconoscimento in alcune norme internazionali che prevedono fra i diritti dell'accusato quello di «farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza» (art. 6, n. 3, lettera e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; disposizione riproposta in modo analogo nell'art. 14, comma 3, lettera f, del Patto internazionale delle Nazioni Unite, sui diritti civili e politici del 19 dicembre 1966, adottato a New York il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881).

In ragione di tali principi, questa Corte (sentenze n. 10 del 1993 e n. 341 del 1999), seppure con riferimento alla diversa posizione dell'interprete nominato dal giudice, ha ritenuto che l'art. 143 cod. proc. pen., laddove statuisce che l'imputato che non conosce la lingua italiana «ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa», configura «il ricorso all'interprete non già come un mero strumento tecnico a disposizione del giudice per consentire o facilitare lo svolgimento del processo in presenza di persone che non parlino o non comprendano l'italiano, ma come oggetto di un diritto individuale dell'imputato, diretto a consentirgli quella partecipazione cosciente al procedimento che, come si è detto, è parte ineliminabile del diritto di difesa».

Il riconoscimento in capo all'imputato straniero che non conosce la lingua italiana del diritto di nomina di un proprio interprete non può, in virtù dei principi sopra esposti, soffrire alcuna limitazione. Invero, l'istituto del patrocinio a spese dello Stato, essendo diretto a garantire anche ai non abbienti l'attuazione del precetto costituzionale di cui al terzo comma dell'art. 24 della Costituzione, prescrive che a questi siano assicurati i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione e ciò in esecuzione del principio posto dal primo comma della stessa disposizione, secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

Pertanto deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 102 del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non prevede, per lo straniero ammesso al patrocinio a spese dello Stato che non conosce la lingua italiana, la possibilità di nominare un proprio interprete. Resta fermo che il legislatore dovrà compiutamente disciplinare la materia inerente a questa figura di interprete.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 102 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui non prevede la possibilità, per lo straniero ammesso al patrocinio a spese dello Stato che non conosce la lingua italiana, di nominare un proprio interprete.

10 luglio 2007

Corte di Giustizia delle Comunità economiche europee (Grande Sezione), 26 giugno 2007, Direttiva 91/308/CEE e Diritto ad un equo processo (Art.6 CEDU)

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
26 giugno 2007

«Direttiva 91/308/CEE – Prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio –
Obbligo imposto agli avvocati di informare le autorità competenti di ogni fatto che possa costituire indizio di un riciclaggio – Diritto a un equo processo – Segreto professionale ed indipendenza degli avvocati»

Nel procedimento C-305/05, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Cour d’arbitrage, divenuta Cour constitutionelle (Belgio), con decisione 13 luglio 2005, pervenuta in cancelleria il 29 luglio 2005, nella causa tra

Ordine degli avvocati francofoni e germanofoni,
Ordine francese degli avvocati del foro di Bruxelles,
Ordine degli avvocati fiamminghi,
Ordine olandese degli avvocati del foro di Bruxelles,
e
Consiglio dei ministri,
intervenienti:
Consiglio degli ordini degli avvocati dell’Unione europea,
Ordine degli avvocati del foro di Liegi,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente,
dai sigg. P. Jann, C. W. A. Timmermans, A. Rosas, K.Lenaerts, E. Juhász (relatore) e J. Klučka, presidenti di sezione, dal sig. J. N. Cunha Rodrigues, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. K. Schiemann, A. Borg Barthet, M. Ilešič e J. Malenovský, giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

cancelliere: sig. M.-A. Gaudissart, capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 12 settembre 2006,
considerate le osservazioni presentate:

– per l’Ordine degli avvocati francofoni e germanofoni e per l’Ordine francese degli avvocati del foro di Bruxelles, dai sig.ri F. Tulkens e V. Ost, avocats;
– per l’Ordine degli avvocati fiamminghi e per l’Ordine olandese degli avvocati del foro di
Bruxelles, dal sig. M. Storme, avocat;
– per il Consiglio degli ordini degli avvocati dell’Unione europea, dal sig. M. Mahieu, avocat;
– per l’Ordine degli avvocati del foro di Liegi, dal sig. E. Lemmens, avocat;
– per il governo belga, dal sig. M. Wimmer, in qualità di agente, assistito dal sig. L. Swartenbroux, avocat;
– per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato;
– per il governo cipriota, dalla sig.ra E. Rossidou-Papakyriakou e dal sig. F. Komodromos, in qualità di agenti;
– per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agente;
– per il governo slovacco, dal sig. R. Procházka, in qualità di agente;
– per il Parlamento europeo, dal sig. A. Caiola e dalla sig.ra C. Castillo del Carpio, in qualità di agenti, assistiti dalla sig.ra M. Dean, barrister;
– per il Consiglio dell’Unione europea, dalle sig.re M. Sims e M.-M. Josephides, in qualità di agenti;
– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. W. Bogensberger e R. Troosters, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 dicembre 2006,
ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sulla validità dell’art. 2 bis, punto 5, della direttiva del Consiglio 10 giugno 1991, 91/308/CEE, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite (GU L 166, pag. 77), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 dicembre 2001, 2001/97/CE (GU L 344, pag. 76; in prosieguo: la «direttiva 91/308»).

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di ricorsi presentati dinanzi al giudice del rinvio
rispettivamente dall’Ordine degli avvocati francofoni e germanofoni, dall’Ordine francese degli
avvocati del foro di Bruxelles, dall’Ordine degli avvocati fiamminghi, nonché dall’Ordine olandese degli avvocati del foro di Bruxelles, diretti a ottenere l’annullamento di taluni articoli della legge 12 gennaio 2004 che modifica la legge 11 gennaio 1993, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, la legge 22 marzo 1993, relativa allo status e al controllo degli istituti di credito e la legge 6 aprile 1995, relativa allo status delle imprese di investimento e al loro controllo, agli intermediari finanziari e ai consulenti in materia di investimento (Moniteur belge 23 gennaio 2004, pag. 4352, in prosieguo: la «legge 12 gennaio 2004»), che recepisce la direttiva 2001/97 nell’ordinamento giuridico nazionale.

Contesto normativo

La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

3 L’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»), intitolato «diritto a un equo processo», dispone:

«1 Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed
entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge,
il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere
civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (…)

2 Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza
non sia stata legalmente accertata.

3 In particolare, ogni accusato ha diritto di:
a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in
modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;
b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;
c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha
i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un
avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;
d esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame
dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
e farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua
usata in udienza».

La normativa comunitaria

4 Ai termini del terzo ‘considerando’ della direttiva 91/308:
«considerando che il riciclaggio incide palesemente sull’aumento della criminalità organizzata ingenerale e del traffico di stupefacenti in particolare; che vi è una sempre maggiore consapevolezza che la lotta al riciclaggio costituisce uno dei mezzi più efficaci per opporsi a questa attività criminosa che rappresenta una particolare minaccia per le società degli Stati membri».
5 Il primo ‘considerando’, i ‘considerando’ dal quattordicesimo al diciassettesimo, nonché il
ventesimo ‘considerando’ della direttiva 2001/97 recitano:
«(1) È opportuno che la direttiva 91/308/CEE (…), che rappresenta uno dei principali strumentiinternazionali per la lotta contro il riciclaggio dei proventi di attività illecite, venga aggiornata conformemente alle conclusioni della Commissione e ai desiderata espressi dal Parlamento europeo e dagli Stati membri. In questo modo la direttiva [91/308] dovrebbe non soltanto riflettere le migliori pratiche internazionali del settore, ma anche continuare a garantire uno standard elevato nella protezione del settore finanziario e di altre attività a rischio dagli effetti dannosi del denaro proveniente da attività criminose.
(…)

(14) I riciclatori di denaro hanno manifestato la tendenza ad avvalersi di enti non finanziari.
Tale tendenza è stata confermata dai lavori del GAFI [Gruppo di Azione Finanziaria
Internazionale] sulle tecniche e tipologie del riciclaggio.

(15) Gli obblighi stabiliti dalla direttiva [91/308] in materia di identificazione dei clienti, tenuta delle registrazioni e segnalazione delle operazioni sospette dovrebbero essere estesi ad un numero limitato di attività e di professioni che si sono rivelate suscettibili di utilizzo a fini di riciclaggio.

(16) I notai ed i professionisti legali indipendenti, quali definiti dagli Stati membri, dovrebbero
essere assoggettati alle disposizioni della direttiva [91/308] quando partecipano a operazioni
di natura finanziaria o societaria, inclusa la consulenza tributaria, per le quali è
particolarmente elevato il rischio che i servizi dei predetti professionisti vengano utilizzati a
fini di riciclaggio dei proventi di attività criminali.

(17) Tuttavia, quando dei professionisti indipendenti che forniscono consulenza legale, i quali
siano legalmente riconosciuti e controllati come gli avvocati, esaminano la posizione giuridica
di un cliente o rappresentano un cliente in un procedimento giudiziario, non sarebbe appropriato che per quanto riguarda tali attività la direttiva [91/308] imponesse loro l’obbligo
di comunicare eventuali operazioni sospette di riciclaggio. Deve sussistere l’esenzione da qualsiasi obbligo di comunicare le informazioni ottenute prima, durante o dopo il procedimento giudiziario, o nel corso dell’esame della posizione giuridica di un cliente. Di conseguenza, la consulenza legale è soggetta al vincolo del segreto professionale a meno che il consulente giuridico partecipi alle attività di riciclaggio dei proventi illeciti, che la consulenza sia fornita a fini di riciclaggio o l’avvocato sia a conoscenza che il cliente chiede consulenza giuridica ai fini del riciclaggio dei proventi illeciti.
(…)

(20) Nel caso dei notai e dei professionisti legali indipendenti, per tenere debitamente conto dell’obbligo di riservatezza che vincola detti professionisti ai loro clienti, gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati a designare l’ordine degli avvocati o qualunque altro organismo di autoregolamentazione dei liberi professionisti come organo a cui questi professionisti segnalano eventuali casi di riciclaggio. Le regole riguardanti il trattamento di tali segnalazioni e la loro eventuale trasmissione alle autorità responsabili per la lotta contro il riciclaggio e, in generale, le forme appropriate di cooperazione tra gli ordini degli avvocati o altri organismi professionali e dette autorità devono essere determinate dagli Stati membri».

6 Ai termini dell’art. 2 bis, punto 5, della direttiva 91/308, sono sottoposti agli obblighi previsti da questa:

«5) [i] notai e altri liberi professionisti legali, quando prestano la loro opera:
a) assistendo i loro clienti nella progettazione o nella realizzazione di operazioni
riguardanti:
i) l’acquisto e la vendita di beni immobili o imprese commerciali;
ii) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni dei clienti;
iii) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;
iv) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società;
v) la costituzione, la gestione o l’amministrazione di trust, società o strutture analoghe;
b) o, agendo in nome e per conto del loro cliente in una qualsiasi operazione finanziaria o immobiliare».

7 L’art. 6 della direttiva 91/308 prevede:

«1. Gli Stati membri provvedono a che gli enti e le persone cui si applica la presente direttiva
nonché i loro amministratori e dipendenti collaborino pienamente con le autorità responsabili per la lotta contro il riciclaggio:

a) comunicando a tali autorità, di propria iniziativa, ogni fatto che possa costituire indizio di riciclaggio;

b) fornendo a queste autorità, a loro richiesta, tutte le informazioni necessarie in conformità delle procedure stabilite dalla legislazione vigente.

2. Le informazioni di cui al paragrafo 1 sono trasmesse alle autorità responsabili per la lotta contro il riciclaggio dello Stato membro nel cui territorio è situato l’ente o la persona che trasmette le informazioni stesse. Tale trasmissione è effettuata di regola dalla persona o dalle persone designate dagli enti e dalle persone cui si applica la seguente direttiva, secondo le procedure previste all’articolo 11, punto 1, lettera a).

3. Nel caso dei notai e dei professionisti legali indipendenti di cui all’articolo 2 bis, punto 5, gli Stati membri possono designare un organismo adeguato di autoregolamentazione della professione in oggetto come autorità cui vanno comunicati i fatti di cui al paragrafo 1, lettera a) ed in tal caso stabiliscono le forme appropriate di collaborazione fra tale organismo e le autorità responsabili per la lotta al riciclaggio. Gli Stati membri non sono tenuti ad applicare gli obblighi di cui al paragrafo 1 ai notai, ai professionisti legali indipendenti, ai revisori, ai contabili esterni e ai consulenti tributari con riferimento alle informazioni che essi ricevono da, o ottengono su, un loro cliente, nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza di questo cliente in un procedimento giudiziario o in relazione a tale provvedimento compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso».

La normativa nazionale

8 L’art. 4 della legge 12 gennaio 2004 ha inserito nella legge 11 gennaio 1993 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite edel finanziamento del terrorismo (Moniteurbelge 9 febbraio 1993, pag. 2828, in prosieguo: la «legge 11 gennaio 1993») l’art. 2 ter, redatto come segue:
«Nei limiti in cui esse lo prevedano espressamente, le disposizioni della presente legge sono anche applicabili agli avvocati:

1. quando assistono il loro cliente nella progettazione o nella realizzazione di operazioni
riguardanti:
a) l’acquisto e la vendita di beni immobili o imprese commerciali;
b) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni dei clienti;
c) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;
d) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società;
e) la costituzione, la gestione o l’amministrazione di trust, società o strutture analoghe;

2. quando agiscono in nome e per conto del loro cliente in una qualsiasi operazione finanziaria o immobiliare».

9 L’art. 25 della legge 12 gennaio 2004 ha inserito un terzo paragrafo all’art. 14 bis della legge 11 gennaio 1993, ai termini del quale:
«Le persone di cui all’art. 2 ter che, nell’esercizio delle attività elencate a tale articolo, constatano fatti che esse sanno o sospettano essere connessi al riciclaggio di capitali o al finanziamento del terrorismo sono tenute ad informarne immediatamente il presidente del Consiglio dell’ordine di cui fanno parte. Tuttavia, le persone di cui all’art. 2 ter non trasmettono tali informazioni se le hanno ricevute da uno dei loro clienti o ottenute su uno dei loro clienti nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza di questo cliente in un procedimento giudiziario o in relazione a tale provvedimento compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso. Il presidente del Consiglio dell’ordine verifica il rispetto delle condizioni previste all’art. 2 ter e al comma precedente. Se tali condizioni sono rispettate, trasmette immediatamente le informazioni alla cellula di trattamento delle informazioni finanziarie».

10 L’art. 27 della legge 12 gennaio 2004 ha sostituito l’art. 15, n. 1, della legge 11 gennaio 1993 conil seguente testo:
«§ 1. Quando la Cellula di trattamento delle informazioni finanziarie riceve un’informazione di cuiall’art. 11, n. 2, la Cellula o uno dei suoi membri o uno dei membri del suo personale designato a tal fine dal magistrato che la dirige o dal suo supplente possono farsi comunicare, entro il termine che essi stessi determinano, ogni informazione supplementare che essi ritengono utile per la realizzazione della missione della Cellula, da parte di:
1° tutti gli organi e le persone di cui agli artt. 2, 2 bis e 2 ter, nonché da parte del presidente
del Consiglio dell’ordine di cui all’art. 14 bis, n. 3;
(…)
Le persone di cui all’art. 2 ter e il presidente del Consiglio dell’ordine di cui all’art. 14 bis, n. 3, nontrasmettono tali informazioni se le hanno ricevute, tramite le persone di cui all’art. 2 ter, da uno dei loro clienti o ottenute su uno dei loro clienti nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza di questo cliente in un procedimento giudiziario o in relazione a tale provvedimento compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.
(…)»

La causa principale e le questioni pregiudiziali

11 Con due ricorsi proposti il 22 luglio 2004 rispettivamente dall’Ordine degli avvocati francofoni e germanofoni, dall’Ordine francese degli avvocati del foro di Bruxelles, da un lato, e dall’Ordine degli avvocati fiamminghi, nonché dall’Ordine olandese degli avvocati del foro di Bruxelles, dall’altro, è stato chiesto al giudice del rinvio di annullare gli artt. 4, 5, 7, 25, 27, 30 e 31 della legge 12 gennaio 2004. Il Consiglio degli ordini dell’Unione europea e l’Ordine degli avvocati del foro di Liegi sono intervenuti nella causa principale.

12 Dinanzi al giudice del rinvio, gli ordini ricorrenti sostengono, in particolare, che gli artt. 4, 25 e 27 della legge 12 gennaio 2004, estendendo agli avvocati l’obbligo di informare le autorità competenti qualora constatino fatti che sanno o sospettano essere connessi al riciclaggio di capitali e l’obbligo di trasmettere alle dette autorità le informazioni supplementari che tali autorità ritengono utili, arrecano un pregiudizio ingiustificato ai principi del segreto professionale e dell’indipendenza dell’avvocato, i quali costituirebbero un elemento primario del diritto fondamentale di ogni singolo ad un equo processo e al rispetto del diritto alla difesa. Tali articoli violerebbero così gli artt. 10 e 11 della Costituzione belga, in combinato disposto con l’art. 6 della CEDU, i principi generali del diritto in materia di diritto alla difesa, l’art. 6, n. 2, UE, nonché gli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza (GU C 364, pag. 1).

13 Gli ordini ricorrenti nonché il Consiglio degli ordini degli avvocati dell’Unione europea sostengono inoltre che tale conclusione non può essere messa in discussione dal fatto che il legislatore belga ha recepito le disposizioni della direttiva 91/308 che limitano, per quanto riguarda gli avvocati, gli obblighi di informazione e di collaborazione. A tale riguardo, l’Ordine degli avvocati francofoni e germanofoni nonché l’Ordine francese degli avvocati del foro di Bruxelles considerano che la distinzione operata da tali disposizioni, fondata sul carattere essenziale o accessorio delle attività dell’avvocato, sia giuridicamente insostenibile e porti ad una situazione di maggiore incertezzagiuridica. L’Ordine degli avvocati fiamminghi e l’Ordine olandese degli avvocati del foro di Bruxelles evidenziano che gli obblighi di denuncia e l’incriminazione del cliente vanno oltre la semplice violazione del segreto professionale, di modo che violano decisamente il rapporto di fiducia tra questo e il suo avvocato.

14 Il Consiglio degli ordini degli avvocati dell’Unione europea, da parte sua, sostiene che la legge 11 gennaio 1993, come modificata dalla legge 12 gennaio 2004, non permette di preservare l’insieme dell’attività tradizionale dell’avvocato. Esso precisa a tale riguardo che le specificità della professione di avvocato, in particolare, l’indipendenza e il segreto professionale, contribuiscono alla fiducia del pubblico in tale professione, e che tale fiducia non è solo legata a taluni compiti particolari dell’avvocato.

15 Il giudice del rinvio rileva che i ricorsi di annullamento sono stati proposti contro la legge 12 gennaio 2004 volta a recepire le disposizioni della direttiva 2001/97 nell’ordinamento giuridico belga. Dato che il legislatore comunitario sarebbe tenuto, come il legislatore belga, al rispetto dei diritti della difesa e del diritto a un equo processo, esso considera che, prima di pronunciarsi sulla compatibilità di tale legge con la Costituzione belga, occorra preliminarmente risolvere la questione della validità della direttiva su cui tale legge si fonda.

16 Pertanto, la Cour d’arbitrage ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’art. 1, punto 2, della direttiva 2001/97/CE, (…) violi il diritto ad un equo processo, quale
garantito dall’art. 6 della [CEDU], e, di conseguenza, l’art. 6, n. 2, [UE] nella parte in cui il nuovo art. 2 bis, punto 5, inserito nella direttiva 91/308/CEE, impone l’inclusione degli appartenenti alle professioni legali indipendenti, senza escludere la professione di avvocato, nella sfera di applicazione della direttiva medesima, la quale, in sostanza, è volta ad imporre alle persone e agli enti da essa contemplati l’obbligo di informare le autorità responsabili della lotta contro il riciclaggio di qualsiasi fatto che possa essere indizio di un siffatto riciclaggio (art. 6 della direttiva 91/308/CEE, sostituito dall’art. 1, [punto 5], della direttiva 2001/97/CE)».

Sulla questione pregiudiziale

17 Occorre rilevare, anzitutto, che, benché nella causa principale che ha dato luogo alla domanda in esame gli ordini ricorrenti e intervenienti abbiano contestato la validità della legislazione nazionale che ha recepito la direttiva 91/308 con riferimento a varie norme di rango superiore, è pur vero che, con la sua questione, il giudice del rinvio ha unicamente considerato necessario chiedere alla Corte un controllo sulla validità di tale direttiva con riferimento al diritto ad un equo processo, come garantito dagli artt. 6 della CEDU e 6, n. 2, UE.

18 Secondo giurisprudenza costante, il procedimento in forza dell’art. 234 CE si fonda su una netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, di modo che spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa,sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza,sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (v. sentenze 4 dicembre 2003, causa C-448/01, EVN e Wienstrom, Racc. pag. I-14527, punto 74, e 12 aprile 2005, causa C-145/03, Keller, Racc. pag. I-2529, punto 33).

19 Di conseguenza, non occorre estendere l’esame della validità della direttiva 91/308 con riferimento ai diritti fondamentali non considerati dal giudice del rinvio, specificamente, al diritto al rispetto della vita privata previsto all’art. 8 della CEDU.

20 L’art. 6, n. 1, della direttiva 91/308 prevede che le persone rientranti nell’ambito di applicazione di questa collaborino pienamente con le autorità responsabili per la lotta conto il riciclaggio comunicando a tali autorità, di propria iniziativa, ogni fatto che possa costituire indizio di riciclaggio e fornendo a queste autorità, a loro richiesta, tutte le informazioni necessarie in conformità delle procedure stabilite dalla legislazione vigente.

21 Per quanto concerne gli avvocati, la direttiva 91/308 limita l’applicazione di tali obblighi di
informazione e di collaborazione in un duplice modo.

22 Da un lato, in forza dell’art. 2 bis, punto 5, della direttiva 91/308, gli avvocati sono sottoposti agli obblighi da questa previsti e, specificamente, agli obblighi di informazione e di collaborazione imposti dall’art. 6, n. 1, della detta direttiva, solo nei limiti in cui essi partecipino, secondo le modalità specificate al detto art. 2 bis, punto 5, a talune operazioni tassativamente elencate da quest’ultima disposizione.

23 Dall’altro, dall’art. 6, n. 3, secondo comma, della direttiva 91/308 risulta che gli Stati membri nonsono tenuti ad imporre gli obblighi di informazione e di collaborazione degli avvocati con riferimento alle informazioni che essi ricevono da un loro cliente, o ottengono su di esso, nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza di questo cliente in un procedimento giudiziario o in relazione a tale provvedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.

24 L’importanza di una tale esenzione è evidenziata dal diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva 2001/97, nel quale si afferma che non sarebbe appropriato che la direttiva 91/308 imponga l’obbligo di comunicare eventuali operazioni sospette di riciclaggio a professionisti indipendenti che forniscono consulenza legale, i quali siano legalmente riconosciuti e controllati come, ad esempio, gli avvocati, qualora esaminino la posizione giuridica di un cliente o lo rappresentino in un procedimento giudiziario. In tale ‘considerando’ si rileva inoltre che deve sussistere l’esenzione da qualsiasi obbligo di comunicare le informazioni ottenute prima, durante o dopo il procedimento giudiziario, o nel corso dell’esame della posizione giuridica di un cliente. Infine, lo stesso ‘considerando’ evidenzia che da tale esenzione si desume che la consulenza legale è soggetta al vincolo del segreto professionale, a meno che il consulente giuridico partecipi alle attività di riciclaggio dei proventi illeciti, che la consulenza sia fornita a fini di riciclaggio, o l’avvocato sia a conoscenza che il cliente chiede consulenza giuridica a tali fini.

25 Nella presente fattispecie, dagli artt. 25 e 27 della legge 12 gennaio 2004 risulta che il legislatore belga, riguardo agli avvocati, ha introdotto nella detta legge esenzioni che concernono le informazioni ricevute o ottenute nelle circostanze di cui al detto art. 6, n. 3, secondo comma, della direttiva 91/308.

26 Occorre quindi esaminare se l’obbligo per un avvocato, che agisca nell’ambito delle sue attività professionali, di collaborare con le autorità competenti in materia di lotta contro il riciclaggio, ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 91/308, e di comunicare loro, di propria iniziativa, ogni fatto che possa costituire indizio di un riciclaggio, tenuto conto delle limitazioni di tale obbligo previste agli artt. 2 bis, punto 5, e 6, n. 3, di tale direttiva, costituisca una violazione del diritto a un equo processo come garantito dagli artt. 6 della CEDU e 6, n. 2, UE.

27 Occorre rilevare, anzittutto, che l’art. 6, n. 3, secondo comma, della direttiva 91/308 può prestarsi a diverse interpretazioni, di modo che la portata precisa degli obblighi di informazione e di collaborazione a carico degli avvocati non è priva di ogni ambiguità.

28 A tale riguardo è giurisprudenza costante che, qualora una norma di diritto derivato comunitario ammetta più di un’ interpretazione, si debba dare la preferenza a quella che rende la norma stessa conforme al Trattato CE rispetto a quella che porti a constatare la sua incompatibilità col Trattato stesso (sentenze 13 dicembre 1983, causa 218/82, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 4063, punto 15, e 29 giugno 1995, causa C-135/93, Spagna/Commissione, Racc. pag. I-1651, punto 37). Gli Stati membri sono infatti tenuti non solo a interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme al diritto comunitario, ma anche a provvedere a non fondarsi su un’interpretazione di un testo di diritto derivato che entri in conflitto con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario o con gli altri principi generali del diritto comunitario (sentenza 6 novembre 2003,causa C-101/01, Lindqvist, Racc. pag. I-12971, punto 87).

29 Occorre anche ricordare che i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine, la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo a cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito. La CEDU riveste, a questo proposito, un particolare significato (v., in tal senso, sentenze 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder, Racc. pag. 419, punto 7; 6 marzo 2001, causa C-274/99 P, Connolly/Commissione, Racc. pag. I-1611, punto 37, e 14 dicembre 2006, causa C-283/05, ASML, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 26). Quindi il diritto a un equo processo, come si desume, in particolare, dall’art. 6 della CEDU, costituisce un diritto fondamentale che l’Unione europea rispetta in quanto principio generale in forza dell’art. 6, n. 2, UE.

30 L’art. 6 della CEDU riconosce a ogni persona, nell’ambito delle controversie su diritti e obblighi di carattere civile, o nell’ambito di un procedimento penale, il diritto a che la sua causa sia esaminata equamente.

31 Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la nozione di «equo processo» di cui all’art. 6 della CEDU è costituita da diversi elementi, i quali comprendono, specificamente, i diritti della difesa, il principio di uguaglianza delle armi, il diritto di accesso alla giustizia, nonché il diritto di accesso ad un avvocato tanto in materia civile quanto in materia penale (v. Corte eur. D. U., sentenze 21 febbraio 1975, Golder c. Regno Unito, serie A n. 18, §§ 26-40; 28 giugno 1984, Campbell e Fell c. Regno Unito, serie A n. 80, §§97-99, 105-107 e 111-113; nonché 30 ottobre 1991, Borges c. Belgio, serie A, n. 214-B, § 24).

32 L’avvocato non sarebbe in grado di svolgere adeguatamente il suo incarico di consulenza, di difesa e di rappresentanza del suo cliente, e quest’ultimo sarebbe, di conseguenza, privato dei diritti attribuitigli dall’art. 6, della CEDU, se l’avvocato stesso, nell’ambito di un procedimento giudiziario o della sua preparazione, fosse tenuto a collaborare con i pubblici poteri trasmettendo loro informazioni ottenute durante le consulenze giuridiche che hanno avuto luogo nell’ambito di un tale procedimento.

33 Riguardo alla direttiva 91/308, come ricordato al punto 22 della presente sentenza, dall’art. 2 bis,punto 5, di questa risulta che gli obblighi di comunicazione e di collaborazione si applicano agli avvocati solo nei limiti in cui assistono i loro clienti nella progettazione o nella realizzazione di talune operazioni essenzialmente di ordine finanziario e immobiliare, indicate da tale disposizione, alla lett. a), o qualora agiscano in nome e per conto del loro cliente in una qualsiasi operazione finanziaria o immobiliare. Come regola generale, tali attività, a causa della loro stessa natura, si situano in un contesto che non è collegato ad un procedimento giudiziario e, pertanto, si pongono al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto a un equo processo.

34 Inoltre, sin dal momento in cui l’assistenza dell’avvocato intervenuto nell’ambito di un’operazione di cui all’art. 2 bis, punto 5, della direttiva 91/308, è richiesta per l’esercizio di un incarico di difesa o di rappresentanza in giudizio o per l’ottenimento di consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento giudiziario, tale avvocato è esonerato, ai sensi dell’art. 6, n. 3, secondo comma, della detta direttiva, dagli obblighi di cui al n. 1 di tale articolo, essendo irrilevante a tale riguardo se le informazioni siano state ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento.
Un tale esonero è di natura tale da preservare il diritto del cliente ad un equo processo.

35 Dato che le esigenze derivanti dal diritto ad un equo processo implicano, per definizione, unaconnessione con un procedimento giudiziario e, tenuto conto del fatto che l’art. 6, n. 3, secondocomma, della direttiva 91/308 esonera gli avvocati, quando le loro attività sono caratterizzate da una tale connessione, dagli obblighi di informazione e di collaborazione di cui all’art. 6, n. 1, della detta direttiva, tali esigenze sono preservate.
36 Per contro, occorre ammettere che le esigenze connesse al diritto ad un equo processo non si oppongono al fatto che, quando agiscono nell’ambito preciso delle attività elencate all’art. 2 bis, punto 5, della direttiva 91/308, ma in un contesto che non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 6, n. 3, secondo comma, della detta direttiva, gli avvocati siano sottoposti agli obblighi di informazione e di collaborazione creati dall’art. 6, n. 1, di tale direttiva, dal momento che tali obblighi sono giustificati, come lo evidenzia in particolare il terzo ‘considerando’ della direttiva 91/308, dalla necessità di lottare efficacemente contro il riciclaggio che esercita un’influenza evidente sullo sviluppo della criminalità organizzata, la quale costituisce essa stessa una particolare minaccia per le società degli Stati membri.

37 Alla luce di quanto precede, occorre constatare che gli obblighi di informazione e di collaborazione con le autorità responsabili per la lotta contro il riciclaggio previsti all’art. 6, n. 1, della direttiva 91/308 e imposti agli avvocati dall’art. 2 bis, punto 5, di tale direttiva, tenuto conto dell’art. 6, n. 3, secondo comma, di questa, non violano il diritto ad un equo processo, come garantito dagli artt. 6 della CEDU e 6, n. 2, UE.

Sulle spese

38 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

Gli obblighi di informazione e di collaborazione con le autorità responsabili per la lotta contro il riciclaggio previsti all’art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 10 giugno 1991, 91/308/CEE, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 dicembre 2001, 2001/97/CE, e imposti agli avvocati dall’art. 2 bis, punto 5, di tale direttiva, tenuto conto dell’art. 6, n. 3, secondo comma, di questa, non violano il diritto ad un equo processo, come garantito dagli artt. 6 della CEDU e 6, n. 2, UE.

Le osservazioni e proposte di modifica del Regolamento sulla formazione continua. Da camerepenali.it

Osservazioni e proposte di modifica
del Regolamento sulla Formazione Continua



La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane

Preso atto

- della nuova stesura del Regolamento sulla Formazione Continua trasmesso dal C.N.F. in data 2 luglio 2007;

- della precisazione in esso contenuta circa il ruolo del medesimo ed in particolare circa il fatto che detto regolamento “ha riguardo all’attività generalista e prevalente, mentre è rinviato a diverso regolamento da adottare in prosieguo la disciplina dell’aggiornamento per l’attività specialistica”
valutato

- che detta precisazione fa esclusivamente riferimento alla necessità di regolamentare in futuro l’”aggiornamento per l’attività specialistica”, nulla dicendo circa il conseguimento del titolo di specialista in un dato settore del diritto;

- che l’art. 17 bis del codice deontologico forense indica, quale oggetto della facoltà di informazione del singolo avvocato, esclusivamente “i diplomi di specializzazione conseguiti presso gli istituti universitari”, omettendo ogni altro riferimento a titoli specialistici altrimenti conseguiti;

- che ciò crea indubbia confusione fra specializzazione universitaria e specializzazione professionale, potendosi persino intendere che il futuro regolamento sia destinato esclusivamente a disciplinare l’”aggiornamento” degli “specialisti” divenuti tali in forza del rilascio di diplomi universitari;

- che una simile confusione sicuramente configge con il tenore della norma regolamentare sopra citata, concernente l’aggiornamento per “l’attività specialistica” e dunque verosimilmente rivolta a coloro che “di fatto” esercitano attività specialistica, indipendentemente dalla loro formazione universitaria;

- che è dunque necessario colmare la lacuna presente nell’attuale codice deontologico forense, laddove esso non prevede la possibilità di informare circa i titoli specialistici conseguiti altrimenti che non in forza di diplomi universitari, pur dovendosi differire la legittimità dell’esercizio di una tale facoltà alla adozione del regolamento sulla specializzazione forense;
valutato altresì

- che la previsione, contenuta anch’essa nell’art. 17 bis del codice deontologico forense, concernente la facoltà di dare informazioni circa “i settori di esercizio dell’attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente”, così come formulata ed attuata tramite il Regolamento sulla Formazione Continua, appare illogica e si pone peraltro in insanabile contrasto con il precetto, anch’esso contemplato dal Codice Deontologico Forense, in forza della quale “il contenuto e la forma dell’informazione devono essere coerenti con la finalità della tutela dell’affidamento della collettività e rispondere a criteri di trasparenza e veridicità”;

- che invero la facoltà di spendita di plurime materie di attività prevalente, nell’ambito dei settori di esercizio dell’attività, appare configgere con il concetto stesso di prevalenza;

- che inoltre l’aver ancorato la legittimità, sotto il profilo deontologico, della informazione circa le materie di attività prevalente, al solo adempimento dell’obbligo formativo nelle suddette materie (art.1 comma 3 del R.F.C.), appare strumento completamente inadeguato a garantire effettività della prevalenza nell’esercizio professionale, così consentendosi una informazione ingannevole;

ritenuto

- che al fine di garantire “tutela dell’affidamento della collettività” appare opportuno evitare, sia nel codice deontologico sia nel regolamento sulla formazione continua, ogni riferimento alla possibilità di spendita di “materie di attività prevalente”, nell’attesa di adottare un regolamento sulla formazione specialistica che indichi con precisione le modalità tramite le quali conseguire il titolo di specialista, conservarlo e divulgarlo;

- che in ogni caso un simile concetto di “prevalenza”, oltre a non doversi confondere con il concetto di “specializzazione forense”, dovrà essere rigorosamente limitato ad un solo settore di attività e la sua spendita dovrà essere consentita solo laddove vi sia effettività della prevalenza dell’esercizio professionale in quella data attività;

preso atto inoltre

- della indicazione contenuta nella nuova bozza di regolamento sulla formazione continua circa la possibilità per il C.N.F. di stipulare con le Associazioni forensi maggiormente rappresentative “specifici protocolli allo scopo di semplificare ed accelerare le procedure di accreditamento degli eventi programmati e di quelli ulteriori” (art. 3 comma 4);
valutato

- che alla luce delle considerazioni già espresse anche dall’Unione delle Camere Penali Italiane detti protocolli si rendono assolutamente necessari ed è dunque sicuramente apprezzabile l’introduzione di una simile previsione;

- che peraltro gli stessi devono garantire la semplificazione ed accelerazione delle procedure di accreditamento degli eventi programmati dalle suddette associazioni anche a livello locale;

preso atto infine

- della modifica intervenuto nel testo dell’art. 7 del Regolamento sulla Formazione Continua, ed in particolare della prevista partecipazione, a livello locale, delle Associazioni Forensi alla “realizzazione” del programma “predisposto” dal Consiglio dell’Ordine;

valutato

- come sia necessario, al fine di una più efficace ed agevole predisposizione del programma, che le Associazioni Forensi siano coinvolte fin dal momento della progettazione dello stesso;

ritenuto

- che per le Associazioni Forensi maggiormente rappresentative ciò dovrà essere peraltro disciplinato dai protocolli stipulati a livello nazionale di cui all’art. 3 comma 4 del Regolamento;

propone le seguenti modifiche e integrazioni:

1) Introdurre nel Codice Deontologico Forense la seguente previsione:
“Con apposito regolamento saranno disciplinati i titoli ed i settori di specializzazione forense, prevedendo espressamente i requisiti di acquisizione del titolo di specialista, i requisiti del suo mantenimento e le condizioni di informazione al pubblico”, fermo restando che, come già indicato nel regolamento sulla formazione continua, “sino all’adozione di quest’ultimo, anche per gli esercenti attività “specialistica” valgono gli obblighi e le modalità di espletamento dell’aggiornamento nel regolamento sulla formazione continua”.

2) All’art. 17 bis del Codice Deontologico Forense eliminare ogni riferimento alla possibile informazione circa “eventuali materie di attività prevalente” od in ipotesi modificare:
l’art. 1 comma 3 del Regolamento sulla Formazione Continua come segue: “L’adempimento di tale dovere nella materia di attività prevalente, unitamente all’effettività della prevalenza dell’esercizio professionale in detta materia, è altresì condizione per la spendita deontologicamente corretta, ai sensi dell’art. 17 bis del codice deontologico forense, dell’indicazione dell’attività prevalente in qualsiasi comunicazione diretta al singolo o alla collettività”, e l’art. 2 comma 5 del Regolamento sulla Formazione Continua come segue: “L’iscritto che, dando con qualunque modalità consentita informazione a terzi, intenda indicare la materia di attività prevalente dovrà dimostrare di aver conseguito, nel periodo di valutazione che precede l’informazione, non meno di 30 crediti formativi nella materia oggetto dell’informazione”.

3) Introdurre, all’art. 3 comma 1 lett. c) del Regolamento sulla Formazione Continua, dopo le parole “organismi nazionali ed internazionali della categoria professionale” l’espressione “o dalle Associazioni Forensi maggiormente rappresentative sul piano nazionale”;

4) Introdurre, all’art. 3 comma 4 ultimo capoverso, dopo le parole “eventi programmati e di quelli ulteriori” l’espressione “anche se organizzati a livello locale”.

5) Introdurre, all’art. 7 comma 2, dopo le parole “anche di concerto fra loro” l’espressione “di concerto con le Associazioni Forensi”

Roma, 5 luglio 2007
Avv. Lodovica Giorgi
Giunta U.C.P.I.

9 luglio 2007

LE NEUROSCIENZE. Contributo inviato dall'Avv. Luisella de Cataldo Neuburger.

Il presente contributo è stato inviato dall'Avv. Luisella de Cataldo Neuburger ad integrazione della lezione tenuta durante il Corso di quest'anno. La redazione ringrazia l'avv. de Cataldo Neuburger per la disponibilità mostrata.


LE NEUROSCIENZE

Le neuroscienze costituiscono un insieme integrato di discipline che ha per oggetto lo studio del cervello e del sistema nervoso degli organismi viventi a livello molecolare, biochimico e genetico. Scopo delle neuroscienze è quello di evidenziare la base biologica delle espressioni mentali e comportamentali dell’animale e dell’uomo a partire dallo studio dalle singole cellule nervose (neuroni) e di insiemi neuronali di ridotte dimensioni. Questo approccio è stato inaugurato da John C. Eccles nel suo volume Le basi neurofisiologiche della mente (1963). In esso si unificavano, sulla relazione portante instaurata tra neurobiologia (vale a dire lo studio di singole cellule nervose e ridotte assemblee neuronali) e neurochimica (cioé lo studio del sistema nervoso a livello molecolare e biochimico), informazioni precedentemente frammentate nei separati ambiti dell’anatomia patologica, della fisiologia e della clinica. In un secondo tempo si sono aggiunti i contributi della fisica, della cibernetica, della psicologia e della filosofia, la quale costituisce la più antica delle neuroscienze. I risultati di questo matrimonio di discipline, e soprattutto dei loro diversi apporti metodologici, si è rivelato sorprendente ed esplosivo. Negli ultimi 30 anni, le neuroscienze hanno avuto visto fiorire un significativo sviluppo anche grazie alla introduzione di nuove tecniche non invasive di indagine del sistema nervoso: un indice della sua rapida evolu¬zione è fornito dalla crescita delle associazioni scientifi¬che che raccolgono i ricercatori attivi in questo settore. Negli Stati Uniti d'America la Society for Neuroscience nacque nel 1971 con meno di 2.000 associati, mentre oggi conta più di 28.000 soci. All'inizio degli anni Settanta nasce in Europa la European Neuroscience Association, forte di circa 3.000 soci e nel 1983 viene costituita la Società Ita¬liana per le Neuroscienze. Se si considera quali sono state le tappe fondamentali dello sviluppo delle neuroscienze, ci si può rendere conto che esse sono andate incontro a una crescita e che questa crescita è fortemente intrecciata alla disponibi¬lità di metodiche, tecnologie e strumenti di analisi derivanti dalla fisica e dalla chimica. Gli studi sul sistema nervoso sono stati possibili alla disponibilità di tecniche sempre più selettive tenti. Ad esempio, la registrazione dell'attività elettrica ¬cerebrale è iniziata nel 1929, grazie alla messa a punto della tecnica dell'elettroencefalografia, che consente di registrare le variazioni di potenziale delle aree superfi¬ciali e profonde del cervello tramite elettrodi disposti sulla superficie cranica.

La diagnostica strumentale
Sono tecniche, in linea di massima, costituite dalla:
(1) tomografia assiale computerizzata (TAC);
(2) risonanza magnetica nucleare (RMN);
(3) tomografia a emissione di positroni (PET);
(4) tomografia a emissione di singoli positroni (SPET).

Questi strumenti, messi a punto nell’ambito della neuroradiologia, hanno consentito una conoscenza particolareggiata del funzionamento del sistema nervoso, rendendo necessaria una rilettura critica dei risultati delle singole discipline scientifiche. Esse forniscono inoltre utili indicazioni a discipline di confine come la:
(a) etologia;
(b) psicologia;
(c) psichiatria;
(d) neuropsicologia;
(e) neurologia.

La diagnostica strumentale può essere considerata come il risultato della applicazione di una serie di tecniche di neuroimmagine (brain imaging) adottate per indagare le alterazioni strutturali e funzionali dell’encefalo. Messi a punto o perfezionati in anni recenti, questi nuovi strumenti di indagine del sistema nervoso, molto avanzati e sofisticati, permettono di visualizzare il cervello umano in modo non invasivo, consentendo una approfondita analisi degli elementi costitutivi e della dinamica di funzionamento dell’encefalo e del sistema nervoso. Da questi studi emerge con sempre maggiore chiarezza l’esistenza di una stretta correlazione tra attività mentali e processi chimico-fisici del cervello. Viene così avvalorata l’ipotesi che la malattia mentale come quella neurologica non sia altro che l’espressione di una alterazione a livello delle cellule nervose. Queste tecniche hanno permesso di tracciare una cartografia funzionale del cervello, ad esempio individuare con notevole precisione le aree della corteccia coinvolte nelle funzioni motorie, nella sensibilità, nel linguaggio, in operazioni numeriche, nella presa di decisione, nell'attenzione, nell'emozione e via dicendo.Grazie alle tecniche di neuroimaging, si dispone oggi di numerosi studi sperimentali in cui vengono esplorate le funzioni di singoli neuroni, ma anche di cluster di neuroni, in corrispondenza a compiti cognitivi complessi; a tali studi rivolgono l’attenzione ricercatori di diverse discipline, come linguisti, pedagogisti, filosofi, e le possibili conseguenze dei diversi risultati iniziano ad essere usate pervasivamente in molti campi.

Amnesia infantile. Contributo inviato dall'Avv. Luisella de Cataldo Neuburger

Il presente contributo è stato inviato dall'Avv. Luisella de Cataldo Neuburger ad integrazione della lezione tenuta durante il Corso di quest'anno. La redazione ringrazia l'avv. de Cataldo Neuburger per la disponibilità mostrata.

Per amnesia infantile si intende l’incapacità a ricordare eventi autobiografici avvenuti prima di una certa età. Le ricerche empiriche condotte su questo tema hanno evidenziato come il numero di eventi autobiografici che vengono ricordati sia molto ridotto prima dei 4-5 anni. E’ in questa fascia di età che si identifica attualmente il confine temporale dell’amnesia infantile.
Questo fenomeno è da considerarsi “fisiologico”, presente quindi in tutti i soggetti a prescindere dalla presenza di altri fattori che modulano l’attendibilità. Esso è dovuto alla maturazione dei lobi frontali che è molto lontana dall’essersi conclusa prima dei 4-5 anni.


CORRELATI NEURALI DELL’AMNESIA INFANTILE

La difficoltà a ricordare in epoca successiva degli episodi autobiografici avvenuti all’interno del periodo dell’amnesia infantile è causato dal fatto che il sistema nervoso del minore continua la sua maturazione fino al quattordicesimo anno di vita. Nello specifico, sono ormai note le variazioni nella morfologia cerebrale del bambino che coinvolgono le strutture nervose responsabili del processo di codifica e recupero mnestico.
La progressiva capacità di comprensione e produzione linguistica e la progressiva capacità di recuperare correttamente ricordi autobiografici sono legati alla maturazione delle regioni cerebrali linguistiche dell’emisfero sinistro (fascicolo arcuato e altre aree linguistiche).

AMNESIA INFANTILE IN CASO DI ESPERIENZE TRAUMATICHE

L’amnesia infantile assume particolari caratteristiche nel caso di esperienze traumatiche vissute in un periodo temporale in cui – le neuroscienze insegnano - le zone cerebrali deputate alla memoria rievocativa non sono ancora attivate .
La memoria, come spiegano le neuroscienze, non è una funzione unitaria ma deriva dalla attivazione di differenti strutture dal punto di vista neuro-anatomico. In particolare, si deve distinguere tra la memoria "dichiarativa", esplicita, consapevole, e quella "non dichiarativa" o "implicita", consistente nella registrazione e conservazione di informazioni di cui il soggetto non è consapevole. Un aspetto della memoria "implicita" è quella "emotiva", la quale ricorda il vissuto, la dimensione soggettiva, le emozioni che una situazione ha procurato ma non consente il passaggio alla fase rievocativa perchè le strutture neuroanatomiche che sostengono la memoria dichiarativa al momento della nascita non sono sufficientemente organizzate dal punto di vista funzionale ed impiegano tre, quattro, cinque anni per raggiungere un livello di organizzazione tale da consentire successivamente la rievocazione esplicita di un fatto. Viceversa la memoria emozionale è presente sin dalla nascita. Un bambino è quindi in grado di registrare emozioni, ma non dispone ancora di quei circuiti neuronali che gli consentono la verbalizzazione, anche perché non è padrone del linguaggio. Questo si struttura nei primi due anni di vita, ma non permette ancora di portare alla coscienza le emozioni. Dunque "la memoria emozionale nei primi tre, quattro anni, qualcuno dice anche cinque, è presente ma non è in grado di essere portata a livello di racconto". La incapacità di una registrazione consapevole costituirebbe dunque la spiegazione scientifica del fenomeno da sempre conosciuto della cosiddetta ."amnesia infantile". In genere, non conserviamo una qualche memoria degli eventi vissuti nei primi due, tre anni di vita. Ciò avviene non per effetto di "rimozione", ma per mancanza delle idonee strutture cerebrali che non si sono ancora sviluppate. Resta soltanto la memoria emozionale, alla quale, tuttavia, il soggetto non possiede l'accesso. Un bambino che nella prima infanzia abbia subito molestie o violenza sessuale non è dunque in grado di esprimere verbalmente il suo vissuto e le emozioni correlate. Il ricordo implicito dell'avvenimento è invece integro, e può comprendere elementi comportamentali - come impulsi alla fuga - reazioni emozionali, sensa¬zioni corporee e immagini correlate al trauma (Siegel, 1995a, 1996a; Terr, 1988).
Un sistema di memoria implicita è quello della memoria emotiva (paura) che comprende l’amigdala e le aree collegate. Il concetto di due sistemi distinti che formano l’uno i ricordi emotivi impliciti e l’altro i ricordi espliciti delle emozioni (come la paura) serve anche a capire l’amnesia infantile, cioè l’incapacità di ricordare, in modo esplicito e dichiarabile le esperienze della prima infanzia.
Come hanno chiarito le neuroscienze, l’amnesia infantile al periodo abbastanza lungo di maturazione dell’ippocampo. Per diventare perfettamente funzionale, le cellule di questa area cerebrale devono crescere e collegarsi con quelle delle altre aree con cui comunicano. Nel caso dell’ippocampo, il processo richiede più tempo e questa è la ragione per cui non avremmo ricordi espliciti della prima infanzia.
Ma il sistema che forma i ricordi inconsci degli eventi traumatici (l’amigdala) matura prima e quindi diventa funzionale prima dell’ippocampo. Per questo i traumi precoci, anche se non possono essere esplicitamente ricordati, possono avere un’influenza duratura e dannosa per la vita mentale.
In altri termini, la memoria emotiva si sviluppa prima della memoria cosciente ed esplicita. Questo spiega perché un bambino che è stato sessualmente abusato nei primi anni di infanzia può sviluppare inconsce memorie emotive attraverso l’amigdala prima che la maturazione del sistema di memoria apra la strada a memorie esplicite. Se questo è vero, ne consegue che le memorie emotive prendono forma da stimoli che non saranno mai compresi a livello conscio perché il sistema che media la memoria consapevole non è disponibile per decodificare l’esperienza che non potrà, quindi, mai essere recuperata a livello conscio.

Pertanto, esperienze traumatiche precoci nella vita possono essere ricordate soltanto come memorie emozionali, senza essere mai state ricordate come ricordi espliciti, con il rischio, per soggetti con tali esperienze precoci nella loro vita, di sviluppare false memorie nel tentativo di riempire gli intervalli vuoti che si estendono tra quello che loro sentono e quello che loro sanno circa il proprio passato.
L’inconfutabilità dei dati messi a disposizioni dalla ricerca in campo neurobiologico può essere di incomparabile aiuto sia per gli psicologi nel loro impegno valutativo del dictum del minore che per il giudice chiamato a decidere sull’attendibilità di una testimonianza riferita ad episodi avvenuti quando il sistema mnestico del bambino non era ancora attivo. Il che non significa, come è importante ricordare, che il bambino in questa fascia di età non abbia ricordi . Non li ha nel senso che sono affidati ad un tipo di memoria, quella implicita, che registra emozioni e provoca ‘sensazioni’ che si manifestano non con le parole ma con comportamenti reattivi che lasciano aperto il problema – critico – di decifrarne, dal punto di vista giuridico, il senso e di stabilire validi rapporti causali.
A cura del Consiglio di gestione della Scuola centrale di formazione specialistica per l'avvocato penalista .

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