La rassegna di dottrina e giurisprudenza del Corso nazionale di formazione specialistica dell'avvocato penalista organizzato dall'Unione delle Camere penali italiane in collaborazione con il Centro per la formazione e l'aggiornamento professionale degli avvocati del Consiglio Nazionale Forense.

30 maggio 2007

Cassazione, Sezione prima penale (cc) – sentenza 1 dicembre 2006-25 gennaio 2007, n. 2800 , Caso Dorigo

Cassazione – Sezione prima penale (cc) – sentenza 1 dicembre 2006-25 gennaio 2007, n. 2800 in tema di ineseguibillità del giudicato a norma dell’art. 670 cpp (caso Dorigo)

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 5.12.2005, la Corte di Assise di Udine, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta proposta dal Procuratore della Repubblica presso il locale tribunale al fine di fare verificare la perdurante efficacia del titolo esecutivo a carico del condannato Dorigo Paolo e, di conseguenza, la legittimità della sua detenzione.
Premesso che, con sentenza del 3.10,1994 divenuta irrevocabile il 27.3.1996, il Dorigo era stato condannato alla pena di tredici anni e sei mesi di reclusione, oltre alla multa di quattro milioni di lire, per essere stato ritenuto responsabile dei reati di associazione con finalità di terrorismo, ricettazione, banda amata, detenzione e porto illegali di armi, attentato per finalità terroristiche e rapina, la Corte territoriale precisava che il condannato aveva successivamente adito la Corte europea dei diritti dell’uomo che, con decisione del 9.9.1998, aveva stabilito che il processo a carico del Dorigo era stato non equo per violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in quanto la condanna era stata pronunciata sulla base delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da tre coimputati non esaminati in dibattimento perché si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. La Corte riteneva che non potesse accogliersi la tesi sostenuta dal Pm e dalla difesa del condannato, volta a fare dichiarare illegittima la detenzione, osservando che l’indagine affidata al giudice dell’esecuzione - investito della richiesta presentata a norma dell’articolo 670 Cpp - è limitata al controllo dell’esistenza di un valido titolo esecutivo, mentre restano preclusi sia il rilievo delle eventuali nullità verificatesi nel giudizio di cognizione sia le valutazioni riguardanti il merito dello stesso: di talché deve comunque prevalere il giudicato penale, pur se frutto di un processo considerato “non equo” dalla Corte europea per ragioni attinenti al procedimento di formazione della prova e alla lesione del diritto della persona accusata di “interrogare o far interrogare i testimoni a carico”, secondo la previsione dell’articolo 6 § 3 lettera d) della Convenzione europea. La richiesta del Pm - aggiungeva la Corte - trovava ostacolo anche nella circostanza che nell’ordinamento manca un apposito rimedio per “la rinnovazione del processo valutato non equo dalla Corte europea, sicché la liberazione del Dorigo determinerebbe la possibilità di una pronuncia di condanna sospesa sine die nella sua esecuzione, senza che nessuna autorità abbia poi modo di deciderne la sorte, con evidenti problemi, per cosi dire, di chiusura del sistema”: tanto più che, in riferimento alla volontà di promuovere un giudizio di revisione in favore del condannato, la possibilità di sospensione dell’esecuzione della pena prevista dall’articolo 635 Cpp rendeva non comprensibile la necessità di due procedure - una di esecuzione e l’altra, eventuale, di revisione - diverse tra loro nei presupposti e nelle finalità. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Udine proponeva ricorso per cassazione denunciando l’erronea applicazione degli articoli 666 e 670 Cpp, sull’assunto che l’indagine devoluta al giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto essere impostata secondo le linee indicate dalla Corte di cassazione nella sentenza 22.9.2006, ric. Cat Berro, al fine di risolvere la questione se l’articolo 5 § 2 lettera a) della Convenzione europea precluda l’esecuzione nell’ordinamento italiano di una sentenza di condanna emessa a conclusione di un processo giudicato non equo dalla Corte europea a norma dell’articolo 6 della Convenzione. Ad avviso del ricorrente, se la questione oggetto dell’incidente di esecuzione fosse stata correttamente impostata, la corte di assise avrebbe dovuto dichiarare l’inefficacia (o l’ineseguibilità) sopravvenuta del giudicato contrastante con la decisione della Corte europea, anche perché la prospettata attivazione, del procedimento di revisione non escludeva il controllo della perdurante efficacia del titolo esecutivo. Il Pm ricorrente denunciava altresì l’erronea applicazione degli articoli 5 § 2 e 46 della Convenzione europea, nonché degli articoli 11 e 111 della Costituzione, precisando che l’immediata precettività delle norme della Convenzione e la diretta efficacia delle sentenze della Corte europea hanno fatto perdere alla sentenza nazionale il valore di titolo legittimo di detenzione. Considerato in diritto 1. - Deve precisarsi preliminarmente che non sono contestate le premesse in fatto e in diritto poste a base della domanda rivolta al giudice dell’esecuzione. In particolare, non è controverso che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna alla pena di tredici anni e sei mesi di reclusione e di quattro milioni di lire di multa, la Corte europea, con decisione del 9.9.1998, ha accolto il ricorso del Dorigo dichiarando la mancanza di equità del processo a causa della violazione dell’articolo 6 § 3 lettera d) in quanto l’accusato non aveva potuto esercitare il diritto di interrogare o di fare interrogare i testimoni a carico. Il Comitato dei Ministri ha più volte constatato l’inadempienza dell’Italia all’obbligo di dare esecuzione alla decisione della Corte e di riaprire il processo nei confronti del Dorigo (Resolution interimaire in data 19.2.2002), invitando le autorità italiane ad adottare, nel più breve tempo, le misure che permettessero di eliminare le conseguenze della violazione e deplorando il fatto che, ad oltre sei anni dalla constatazione della violazione, non fosse; stata ancora adottata alcuna misura, benché “la réouverture de la procédure incriminée reste le meilleur moyen d’assurer la restituito in integrum dans cette affaire” (Resolution interimaire del 10.2.2004). Plurime e persistenti inottemperanze da parte delle autorità italiane alle decisioni della Corte europea sono state recentemente censurate dall’Assemblea Parlamentare - anche con espresso riferimento al caso Dorigo (“nombreuses affaires, dont Dorigo c. Italie) – con rapporto n. 11020 (2006), con raccomandazione n. 1764 (2006) e con n’soluzione n. 1516 (2006): in quest’ultima deliberazione è stata deplorata la prolungata inerzia dell’Italla, per la ragione che, nonostante i numerosi solleciti dell’Assemblea stessa e del Comitato dei Ministri, non era stata presa alcuna misura al fine di ripristinare il diritto dei ricorrenti ad un processo equo.
Dal ricorso del Pm e dall’ordinanza impugnata risulta, inoltre, che - a distanza di ben otto anni dalla decisione della Corte europea - il Dorigo è rimasto detenuto in espiazione della pena inflittagli con la sentenza di condanna in data 3.10.1994 senza che gli fosse stato riaperto il processo: soltanto a seguito della richiesta di revisione, presentata successivamente al provvedimento impugnato, il condannato ha ottenuto la sospensione dell’esecuzione della pena a norma dell’articolo 635 Cpp. 2. - Così ricostruita la complessa e lunga vicenda processuale del Dorigo, va precisato che la domanda proposta dal Pm è diretta a fare dichiarare dal giudice dell’esecuzione la inefficacia (o ineseguibilità) sopravvenuta della sentenza irrevocabile di condanna, sul presupposto che questa abbia cessato di costituire titolo legittimo di detenzione per effetto della decisione della Corte europea con cui è stata affermata la non equità del processo. In relazione al contenuto della domanda e ai risultati perseguiti dal Pm, il Collegio ritiene che la richiesta debba essere qualificata come atto propulsivo di un incidente di esecuzione inquadrabile nella previsione dell’articolo 670 Cpp, avendo per oggetto l’accertamento di una situazione idonea ad impedire, provvisoriamente o definitivamente, l’esecuzione del titolo (Cassazione, Sezione prima, 18 maggio 2005, Papa, rv. 232103). In proposito risultano, pienamente condivisibili le perspicue osservazioni contenute nella requisitoria scritta del Procuratore Generale presso questa Corte, il quale ha sottolineato che “l’unico appropriato rimedio utilizzabile per raggiungere tale risultato era l’incidente di esecuzione, al quale il pubblico ministero aveva fatto ricorso per sollevare la questione dell’irrevocabilità della sentenza dopo l’intervento del giudice sopranazionale, la quale era inscindibilmente collegata sul piano logico-giuridico a quella della legittimità del mantenimento dello stato di detenzione del Dorigo, che pure aveva acquisito il diritto alla riapertura del procedimento”. È opportuno, peraltro, precisare che la successiva sospensione dell’esecuzione della pena, disposta dal giudice investito della richiesta di revisione, non ha fatto venire meno l’interesse alla decisione dell’incidente di esecuzione, il cui oggetto è costituito dall’accertamento della inesistenza del titolo esecutivo, mentre il provvedimento sospensivo previsto dall’articolo 635 Cpp - emesso a conclusione di un procedimento incidentale inserito in quello di revisione - presuppone la validità del titolo esecutivo, dipende da una valutazione discrezionale di tipo prognostico e ha la funzione di evitare l’esecuzione di una condanna suscettibile di divenire ingiusta in caso di accoglimento della richiesta di revisione (Cassazione, Sezione prima, 1 aprile 2004, Piero, rv. 228847). 13. - La ratio decidendi dell’ordinanza impugnata risiede essenzialmente nella prevalenza attribuita al giudicato sulla decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, motivata con la duplice ragione che la seconda non ha incidenza risolutiva sulla validità del primo né sull’efficacia del titolo esecutivo e che l’ordinamento nazionale appresta il rimedio della rinnovazione del processo mediante l’articolo 175, comma 2, Cpp, novellato dall’articolo 1, comma 1, lettera b) del Dl 17/2005, convertito con legge 60/2005, soltanto in riferimento ai processi contumaciali e non anche per i casi nei quali la non equità del processo sia derivata dalla violazione dell’articolo 6 § 3 lettera d) della Convenzione europea, ossia da una causa di ordine sostanziale riguardante la formazione della prova posta a base del verdetto di condanna. Le contestazioni contenute nel ricorso investono la correttezza dell’impostazione e dello sviluppo del ragionamento giustificativo dell’ordinanza pronunciata dalla Corte di Assise di Udine, in funzione di giudice dell’esecuzione, avendo il Pm lamentato la disapplicazione dei principi relativi al valore immediatamente precettivo nell’ordinamento italiano delle norme della Convenzione europea e delle decisioni della Corte europea che ne accertino la violazione, onde se fossero stati applicati tali referenti normativi, avrebbe dovuto conseguenzialmente riconoscersi che la sentenza di condanna aveva perduto l’efficacia di titolo legittimo di detenzione a norma dell’articolo 5 § 2 lettera a) della stessa Convenzione. 4. - Le censure del ricorrente sono fondate e meritano accoglimento per le ragioni di seguito indicate. Nell’ordinanza impugnata non n’sultano chiaramente definiti i due passaggi logici che rappresentano le premesse argomentative indispensabili per una corretta soluzione della questione sollevata con l’incidente di esecuzione: la prima premessa riguarda la rilevanza delle disposizioni della Convenzione europea nell’ordinamento interno e la seconda concerne il valore delle decisioni della Corte europea che quelle disposizioni applicano. Sul primo punto deve considerarsi ormai acquisito, il principio della immediata precettività delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, firmata a Roma il 4.11.1950 e resa esecutiva con legge 848/55: una recente sentenza di questa Corte (Cassazione, Sezione prima, 32678/06, ric. Somogyi) ha ricordato le posizioni assunte dalla giurisprudenza di legittimità a partire dalle decisioni più risalenti (Cassazione, Sezione prima, 17.12.1981, Iaglietti, rv. 154632; Su, 23 novembre 1988, Polo Castro, rv. 181288). La particolare collocazione della normativa della Convenzione è stata individuata dal Giudice delle leggi allorquando ha rilevato che “si tratta di norme derivanti da una fonte riconducibile a una competenza atipica e, come tali, insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria (Corte cost, 19 gennaio 1993, n. 10) e ha recentemente ricordato la “forza giuridica” da riconoscere alle norme internazionali relative ai diritti fondamentali della persona (Corte cost., 23 novembre 2006, n. 393), osservando che i diritti umani, garantiti anche da convenzioni universali o regionali sottoscritte dall’Italia, trovano espressione, e non meno intensa garanzia, nella Costituzione (cfr. sentenza 399/98): non solo per il valore da attribuire al generale riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo fatto dall’articolo 2 della Costituzione, sempre più avvertiti dalla coscienza contemporanea come coessenziali alla dignità della persona (cfr. sentenza 167/99), ma anche perchè, al di là della coincidenza nel cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano, completandosi reciprocamente nella interpretazione (Corte cost., 22 ottobre 1999, n. 388). Tali principi sono stati recepiti nella giurisprudenza di questa Corte in cui è stato affermato che “la legge 648/55, provvedendo a ratificare e rendere esecutiva la Convenzione, ha introdotto nell’ordinamento interno i diritti fondamentali, aventi natura di diritti soggettivi pubblici, previsti dal titolo primo della Convenzione e in gran parte coincidenti con quelli già indicati nell’articolo Costituzione, rispetto al quale il dettato della Convenzione assume una portata confermativa ed esemplificativa”: con la precisazione che la giurisprudenza di legittimità “ha espressamente riconosciuto la natura sovraordinata alle norme della Convenzione sancendo l’obbligo per il giudice di disapplicare la norma interna in contrasto con la norma pattizia dotata di immediata precettività nel caso concreto” (Cassazione, Su civili, 28507/05). 5. Il provvedimento del giudice dell’esecuzione presta il fianco agii argomentati rilievi critici mossi dal Pm ricorrente non solo per non avere tenuto presente la particolare forza precettiva delle norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ma anche sotto l’ulteriore profilo - direttamente correlato alla stessa tematica - della mancata consapevolezza del valore delle decisioni della Corte europea che abbiano riconosciuto l’avvenuta violazione di quei diritti e di quelle libertà fondamentali. L’articolo 19 della Convenzione prevede l’istituzione della Corte europea dei diritti dell’uomo “per assicurare il rispetto degli impegni derivanti alle Alte Parti contraenti dalla presente Convenzione e dai suoi protocolli”, con competenza estesa “a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della predetta normativa” (articolo 32): l’articolo 46, recante la rubrica “forza vincolante ed esecuzione delle sentenze”, stabilisce, poi, che 1e Alte Parti contraenti s’impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie nelle quali sono Parte che la sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione”. La forza vincolante delle sentenze della Corte europea e l’effettività della loro esecuzione sono state accresciute a seguito della modifica del citato articolo 46 conseguente all’approvazione del Protocollo n. 14 del 13 maggio 2004, ratificato, con legge 280/05. In questa stessa prospettiva deve essere interpretata la normativa recentemente introdotta dalla legge 12/2006, recante “disposizioni in materia di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo”, che ha inserito nel comma 3 dell’articolo 5 della legge 400/88 - riguardante la disciplina dell’attività di Governo e l’ordinamento delta Presidenza del Consiglio dei Ministri - la lettera abis, in virtù della quale il Presidente del Consiglio promuove gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo emanate nel confronti dello Stato italiano. comunica tempestivamente alle Carriere le medesime pronunce ai fini dell’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti e presenta annualmente al Parlamento una relazione sullo stato di esecuzione delle suddette pronunce”. L’indirizzo dell’ordinamento italiano di recepire le decisioni della Corte di Strasburgo e di uniformarsi alle stesse è stato confermato dal Dpr 289/05, che, ad integrazione del testo unico sul casellario giudiziale, ha inserito nell’articolo 19 del Dpr 313/02, 1 commi 2bis e 2ter prevedendo l’iscrizione dello “estratto delle decisioni definitive adottate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italiano, concernenti i provvedimenti giudiziali e amministrativi definitivi delle autorità nazionali già iscritti, di seguito alla preesistente iscrizione cui esse si riferiscono”. Tanto premesso, occorre accertare quali siano gli effetti delle sentenze della Corte che dichiarano l’intervenuta violazione delle disposizioni della Convenzione rilevando che esse sono direttamente produttive di diritti ed obblighi nel confronti delle parti, vale a dire sia n’spetto allo Stato, che è tenuto a conformarsi al dictum della stessa Corte e ad eliminare tempestivamente le conseguenze pregiudizievoli della verificata violazione, sia n’spetto al cittadino, al quale non può negarsi il diritto alla riparazione, nella forma pecuniaria ovvero nella forma specifica della “restitutio in integrum” mediante la rinnovazione del giudizio diretta a ristabilire il diritto del richiedente ad un “procès èquitable”. E che nel caso Dorigo l’unica forma di riparazione sia stata prevista nella rinnovazione di un processo equo risulta non solo dalla decisione della Corte in data 9.9.1998 ma anche dalle numerose resolutions interimaires del Comitato dei Ministri, nonché dai rapporti, dalle raccomandazioni e dalle risoluzioni dell’Assemblea Parlamentare, con le quali è stata denunciata la protratta inadempienza dell’Italia all’obbligo di provvedere a “la réouverture de la procédure incriminée”, per la ragione che questa “reste le meilleur moyen d’assurer la restituito in integrum dans cette affaire” (cfr. § 1). 6. - Identificata la portata della decisione adottata dalla Corte europea, organo istituzionalmente deputato all’Interpretazione e all’applicazione delle disposizioni della Convenzione, il Collegio ritiene di dovere ribadire il principio per cui il giudice italiano è tenuto a conformarsi alle sentenze pronunciate dalla stessa Corte e, per conseguenza, deve n’conoscere il diritto al nuovo processo, anche se ciò comporta la necessità di mettere in discussione, attraverso il riesame o la n’apertura del procedimento penale, l’intangibilità del giudicato (Cassazione, Sezione prima, 32678/06, Somogyi). Muovendo da tale presupposto e seguendo le linee già tracciate in una decisione puntualmente richiamata dal Pm ricorrente (Cassazione, Sezione prima, 22 settembre 2005, Cat Berro, rv. 232115), l’indagine affidata al giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto tendere a stabilire se sussista nell’ordinamento interno la possibilità di immediata applicazione della decisione della Corte di Strasburgo e se questa esplichi effetti ostativi o impeditivi, a norma dell’articolo 5 § 2 lettera a) della Convenzione, all’esecuzione di una sentenza di condanna emessa a conclusione di un processo giudicato “non equo”, rendendola ineseguibile pure in assenza nell’ordinamento nazionale di una specifica norma che consenta di paralizzare l’esecuzione e dare ingresso a un nuovo processo. È indubbio che nel sistema risultante dalla normativa della Convenzione esiste una stretta ed essenziale correlazione tra l’articolo 6 e l’articolo 5 § 2 lettera a), chiaro essendo che evidenti ragioni di coerenza interna dell’ordinamento impediscono di considerare legittima e regolare una detenzione fondata su una sentenza di condanna pronunciata in un giudizio nel quale siano state poste in essere violazioni delle regole del giusto processo accertate dalla Corte europea, si da rendere non “équitable” non soltanto la procedura seguita, ma anche la pronuncia di condanna. La conclusione non è altro che il corollario del riconoscimento del diritto alla rinnovazione del processo derivato dalla sentenza della Corte, dalla quale, correlativamente, discende per lo Stato e per i suoi organi (compresi quelli investiti del potere giurisdizionale) l’obbligo positivo” di ripristinare una procedura rispondente alla legalità sancita dalla Convenzione allo specifico fine di eliminare le conseguenze pregiudizievoli verificatesi in dipendenza della violazione accertata. E se è innegabile che gli effetti della sentenza della Corte hanno una incidenza non limitata alla sfera sovranazionale, ma sono costitutivi di diritti e di obblighi operanti anche all’interno dell’ordinamento nazionale, è consequenziale n’conoscere che il diritto alla rinnovazione del giudizio, sorto per effetto di quella sentenza, è concettualmente incompatibile con la persistente efficacia del giudicato, che resta, dunque, neutralizzato sino a quando non si forma un’altra decisione irrevocabile a conclusione del nuovo processo. L’inscindibile nesso tra l’obbligo di rinnovazione del processo e l’ineseguibilità della condanna è stato lucidamente posto in evidenza nella requisitonia del Procuratore Generale presso questa Corte, il quale ha rilevato che, nel caso Dorigo, a seguito della dichiarazione della violazione dell’articolo 6 della Convenzione “il titolo di condanna in effetti non è ancora divenuto definitivo, stante la necessità della rinnovazione del giudizio, con la conseguenza che l’esecuzione della pena residua ancora da scontare in regime di detenzione domiciliare non poteva essere proseguita, ma doveva farsi cessare”: con la precisazione che l’articolo 5 par. 4 della Convenzione riconosce il diritto a chi ha riportato condanna in un procedimento giudiziario ritenuto non equo dalla Corte di giustizia europea di presentare ricorso al giudice nazionale affinché accerti la legalità della detenzione e, se riconosciuta illegittima, ne ordini la liberazione. Tale rimedio esiste nel nostro ordinamento e si identifica nella richiesta di incidente, che dà impulso alla procedura ex articolo 670 Cpp, nell’ambito della quale deve poter trovare piena tutela il diritto sancito dall’articolo 5 par, 2 lettera a) della citata Convenzione”. Un apprezzabile spunto a conferma dei risultati dell’interpretazione logica e sistematica sin qui condotta è offerto dalla legge 69/2005, che ha conformato il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio dei Ministri dell’Unione in materia di mandato di arresto europeo e di procedure di consegna tra Stati membri. L’articolo 2, comma 1, dispone che “l’Italia darà esecuzione al mandato d’arresto europeo nel rispetto dei seguenti diritti e principi stabiliti dai trattati internazionali e dalla Costituzione: a) i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 848/55, in particolare dall’articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) e dall’articolo 6 (diritto ad un processo equo), nonché dai Protocolli addizionali alla Convenzione stessa”. In coerenza con tale principio l’articolo 18 lettera g) prevede il rifiuto della consegna “se dagli atti risulta che la sentenza irrevocabile, oggetto del mandato d’arresto europeo, non sia la conseguenza di un processo equo condotto nel rispetto dei diritti minimi dell’accusato previsti dall’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali... “. Pur rappresentando l’espressione di principi già presenti nell’ordinamento in materia di estradizione attiva (articolo 720, comma 4, Cpp) e passiva (articolo 705, comma 2, lettera a) Cpp), nonché di riconoscimento di sentenze penali straniere (articolo 733, comma 1, lettera b) e c, Cpp) e pur non risultando direttamente applicabili ai provvedimenti adottati dalle autorità giurisdizionali italiane, le disposizioni degli articoli 2 e 18 della legge 69/2005 lasciano nitidamente trasparire, attraverso l’esplicito richiamo agli articoli 5 e 6 della Convenzione europea, il ruolo privilegiato attribuito ai diritti e alle libertà fondamentali riconosciuti dalla stessa Convenzione, le cui garanzie sono elevate al rango di principi generali dell’intero sistema. Di talchè deve considerarsi manifestamente contraddittoria e in totale contrasto con tali canoni fondamentali la soluzione interpretativa accolta nell’ordinanza impugnata, che, in presenza del radicale conflitto tra giudicato interno e sentenza della Corte europea, ha attribuito prevalenza al primo affermando l’efficacia esecutiva della sentenza nazionale di condanna pur se pronunciata in un processo dichiarato non equo per violazione dell’articolo 6 della Convenzione, 7. - Uno degli argomenti sviluppati dal giudice dell’esecuzione per negare la possibilità di ritenere ineseguibile il giudicato nel confronti del Dorigo è stato indicato nella ragione che l’ordinamento italiano ha introdotto il mezzo processuale idoneo ad attivare la rinnovazione del processo soltanto per i processi contumaciali (articolo 175, comma 2, Cpp, novellato dall’articolo 1, comma 1, lettera b) del Dl 17/2005, convertito con legge 60/2005), mentre nessun rimedio è stato previsto per i casi nei quali la non equità del processo sia stata dichiarata dalla Corte europea in relazione alla constatata violazione dell’articolo 6 § 3 lettera d) nella formazione della prova posta a base della sentenza di condanna- Il Collegio non ignora che in Parlamento, nella XIV Legislatura, sono stati presentati disegni di legge diretti ad inserire nel codice di procedura penale l’articolo 630bis contenente la previsione di un nuovo caso di revisione quando una sentenza della Corte europea abbia accertato che nel corso del giudizio sono state violate le disposizioni di cui all’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Con la conclusione della Legislatura detti disegni di legge sono, però, decaduti, onde, allo stato, nel nostro ordinamento non esiste un n’medio che permetta la riapertura del processo nell’ipotesi in cui la condanna sia derivata dalla violazione delle norme della Convenzione che garantiscono il diritto dell’imputato di “interrogare o fare interrogare i testimoni a carico”. Eppure resta urgente e non più differibile la necessità di un intervento legislativo che renda azionabile il diritto al nuovo processo anche nel casi nel quali l’accertata violazione della Convezione riguardi non la questione della partecipazione al processo (risolta ormai con la disciplina del novellato articolo 175 Cpp sulla restituzione nel termine nei processi contumaciali), ma la lesione di garanzie di ordine sostanziale, accertata- da una decisione della Corte europea, che abbia avuto influenza decisiva sull’esito del giudizio. Proprio l’assenza di un mezzo processuale per la rinnovazione del processo ha indotto la Ca di Bologna, chiamata ad esaminare la richiesta di revisione del Dorigo, a ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 630 lettera a) Cpp, nella parte in cui esclude dai casi di revisione l’impossibilità che i fatti posti a fondamento della sentenza o del decreto di condanna si concilino con la sentenza definitiva della Corte europea che abbia accertato l’assenza di equità del processo, ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, per contrasto con gli articoli 3, 10 e 27 della Costituzione (App. Bologna, 13 marzo 2006, Dorigo, in Cassazione pen., 2006, 2959). L’incidente di costituzionalità, volto a provocare una sentenza additiva, non è stato ancora deciso, sicchè persiste il vuoto normativo segnalato e, a distanza di oltre otto anni dalla pronuncia della decisione della Corte europea, non è stata adottata alcuna misura legislativa che consenta al Dorigo di esercitare il diritto alla rinnovazione del processo, nonostante le ricorrenti raccomandazioni e risoluzioni del Comitato dei Ministri e dell’Assemblea Parlamentare precedentemente ricordate. Nell’ordinanza impugnata l’impossibilità di dichiarare ineseguibile la sentenza di condanna è stata esplicitamente fatta derivare anche dalla mancanza di un mezzo processuale che renda realizzabile la rinnovazione del giudizio. L’argomento non può non ritenersi fallace e privo di pregio se si considera che la prolungata inerzia dell’Italia corrisponde alla trasgressione dell’obbligo previsto dall’articolo 46 della Convenzione di conformarsi alla sentenza definitiva della Corte europea e, quindi, costituisce una condotta dello Stato italiano qualificabile come “flagrante diniego di giustizia” (“déni de justice flagrant”). Ne segue che la tesi accolta dal giudice dell’esecuzione si risolve, in buona sostanza, nell’ammettere che la persistenza della detenzione del Dorigo possa trarre titolo dal conclamato inadempimento degli obblighi sanciti dalla Convenzione, vincolanti anche nell’ordinamento interno, e che l’esecuzione della pena possa cessare soltanto se e quando verrà meno l’illecito diniego di giustizia. E’ evidente, tuttavia, che i principi di legalità, di coerenza e di razionalità, dai quali è permeato l’intero ordinamento, rendono assolutamente inaccettabile una siffatta proposizione, che ha finito per capovolgere diametralmente l’esatta prospettiva interpretativa col disconoscere la precettività delle norme della Convenzione e la forza vincolante della decisione della Corte per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. 8. - Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, osservato che il diritto al nuovo processo è stato riconosciuto al Dorigo dalla Corte europea in relazione ad una essenziale garanzia dell’imputato (quella di “interrogare o fare interrogare i testimoni a carico”) e che la violazione è stata reputata di determinante influenza sull’esito del giudizio, il ricorso proposto contro il provvedimento del giudice dell’esecuzione deve essere deciso sulla base del seguente principio di diritto: “Il giudice dell’esecuzione deve dichiarare, norma dell’articolo 670 Cpp, l’ineseguibilità del giudicato quando la Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali abbia accertato che la condanna è stata pronunciata per effetto della violazione delle regole sul processo equo sancite dall’articolo , 6 della Convenzione europea e abbia riconosciuto il diritto del condannato alla rinnovazione del giudizio, anche se il legislatore abbia omesso di introdurre nell’ordinamento il mezzo idoneo ad instaurare il nuovo processo”. In applicazione di tale principio di diritto, poiché la decisione non richiede accertamenti di fatto e valutazioni di merito, deve pronunciarsi l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata ai sensi dell’articolo 620 lettera l) Cpp e, per l’effetto, deve dichiararsi l’inefficacia dell’ordine di carcerazione emesso in esecuzione della sentenza 3 ottobre 1994 della Corte di Assise di Udine, irrevocabile il 27 marzo 1996, nei confronti di Dorigo Paolo, con i provvedimenti consequenziali.
PQM
La Corte suprema di Cassazione, Prima sezione penale, annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e, per l’effetto,dichiara l’inefficacia dell’ordine di carcerazione emesso in esecuzione della sentenza 3 ottobre 1994 della Corte di Assise di Udine, irrevocabile il 27 marzo 1996, nei confronti di Dorigo Paolo. Dispone la immediata liberazione del Dorigo Paolo se non detenuto per altra causa. Dispone la immediata comunicazione di questo provvedimento al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Udine.

Il programma del quinto week-end

UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE
Centro Formazione e Aggiornamento Professionale degli Avvocati

X CORSO NAZIONALE DI FORMAZIONE SPECIALISTICA DELL’AVVOCATO PENALISTA

FEBBRAIO –NOVEMBRE 2007
ROMA- Sala Cesarini del Grand Hotel Palatino
(via Cavour n. 213/m – tel. 06.4814972, fax 06.4740726)


Programma quinto week-end
22-24 giugno2007

VENERDI’ 22 GIUGNO

Ore 16.00 La Difesa… in vista della condanna
Avv. Prof. Tullio PADOVANI – Foro di Pisa

Ore 17.45 Pausa
Ore 18.00 Deontologia forense e procedimento disciplinare
Avv. Prof. Remo DANOVI – Foro di Milano
Ore 20.00 Conclusione dei lavori

SABATO 23 giugno

Ore 9.00 Strategie e tecniche difensive nell’esame incrociato
Dottor Luciano D’ANGELO – Sost. Procuratore Napoli Avv. Valerio SPIGARELLI – Foro di Roma
Ore 11.30 Pausa
Ore 11,45 Dibattito e domande dei Corsisti

Ore 13.00 Conclusione dei lavori

Ore 15.00 Il Difensore e la prova dibattimentale
Avv. Prof. Filiberto PALUMBO – Foro di Bari
Ore 16.45 Pausa

Ore 17.00 La Difesa … in vista dell’assoluzione
Avv. Prof. Gaetano PECORELLA - Foro di Milano
Ore 19.00 Conclusione dei lavori

DOMENICA 24 giugno

Ore 9.00 La discussione
Avv. Enzo TRANTINO – Foro di Catania -
Avv. Daniele RIPAMONTI – Foro di Milano
Introduce il Prof. Avv. Mercurio GALASSO – Foro di Pescara
Ore 12.00 Conclusione dei lavori

29 maggio 2007

La Carta di Noto, ovvero le linee guida per l'esame del minore in caso di abuso sessuale

A conclusione dell’Incontro di Esperti tenuto dall’I.S.I.S.C. (Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali) a Noto nei giorni 4-7 luglio 2002 e organizzato dall’avv. Luisella de Cataldo Neuburger si é proceduto all’aggiornamento della “Carta di Noto” con l’apporto interdisciplinare di magistrati, avvocati, psicologi, psichiatri,neuropsichiatri infantili, criminologi e responsabili di Servizi.

CARTA DI NOTO AGGIORNATA (7 luglio 2002)
LINEE GUIDA PER L’ESAME DEL MINORE IN CASO DI ABUSO SESSUALE

PREMESSA

Il presente aggiornamento della Carta di Noto del 1996, che costituisce ormai un riferimento costante per giurisprudenza, letteratura e dottrina, è stato reso necessario dalle innovazioni legislative intervenute nel frattempo e dall’evoluzione della ricerca scientifica in materia.
Le linee guida che seguono devono considerarsi quali suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità dei risultati degli accertamenti tecnici e la genuinità delle dichiarazioni, assicurando nel contempo al minore la protezione psicologica, nel rispetto dei principi
costituzionali del giusto processo e degli strumenti del diritto internazionale.
Quando non fanno riferimento a specifiche figure professionali le linee guida valgono per qualunque soggetto che nell’ambito del procedimento instauri un rapporto con il minore.

1. La consulenza tecnica e la perizia in materia di abuso sessuale devono essere affidate a professionisti specificamente formati, tanto se scelti in ambito pubblico quanto se scelti in ambito privato. Essi sono tenuti a garantire il loro costante aggiornamento professionale.
Nel raccogliere e valutare le informazioni del minore gli esperti devono:
a) utilizzare metodologie e criteri riconosciuti come affidabili dalla comunità scientifica di riferimento;
b) esplicitare i modelli teorici utilizzati, così da permettere la valutazione critica dei risultati.

2. La valutazione psicologica non può avere ad oggetto l’accertamento dei fatti per cui si procede che spetta esclusivamente all’Autorità giudiziaria. L’esperto deve esprimere giudizi di natura psicologica avuto anche riguardo alla peculiarità della fase evolutiva del minore.

3. In caso di abuso intrafamiliare gli accertamenti devono essere estesi ai membri della famiglia, compresa la persona cui è attribuito il fatto, e ove necessario, al contesto sociale del minore. E' metodologicamente scorretto esprimere un parere senza avere esaminato il minore e gli adulti cui si fa riferimento, sempre che se ne sia avuta la rituale e materiale possibilità. Qualora l'indagine non possa essere svolta con tale ampiezza, va dato conto delle ragioni dell’incompletezza.

4. Si deve ricorrere in ogni caso possibile alla videoregistrazione, o quanto meno all’audioregistrazione, delle attività di acquisizione delle dichiarazioni e dei comportamenti del minore. Tale materiale, per essere utilizzato ai fini del giudizio, va messo a disposizione delle parti e del magistrato. Qualora il minore sia stato sottoposto a test psicologici i protocolli e gli esiti della somministrazione devono essere prodotti integralmente ed in originale.

5. Al fine di garantire nel modo migliore l’obiettività dell’indagine, l’esperto avrà cura di individuare, esplicitare e valutare le varie ipotesi alternative, siano esse emerse o meno nel corso dei colloqui.

6. Nel colloquio con il minore occorre:
a) garantire che l'incontro avvenga in orari, tempi, modi e luoghi tali da
assicurare, per quanto possibile, la serenità del minore;
b) informarlo dei suoi diritti e del suo ruolo in relazione alla procedura
in corso;
c) consentirgli di esprimere opinioni, esigenze e preoccupazioni;
d) evitare domande e comportamenti che possano compromettere la
spontaneità, la sincerità e la genuinità delle risposte, senza impegnare il
minore in responsabilità per ogni eventuale sviluppo procedimentale. .

7. L’incidente probatorio è la sede privilegiata di acquisizione delle dichiarazioni del minore nel corso del procedimento.

8. I sintomi di disagio che il minore manifesta non possono essere considerati di per sé come indicatori specifici di abuso sessuale, potendo derivare da conflittualità familiare o da altre cause, mentre la loro assenza non esclude di per sé l’abuso.

9. Quando sia formulato un quesito o prospettata una questione relativa alla compatibilità tra quadro psicologico del minore e ipotesi di reato di violenza sessuale è necessario che l’esperto rappresenti, a chi gli conferisce l’incarico, che le attuali conoscenze in materia non consentono di individuare dei nessi di compatibilità od incompatibilità tra sintomi di disagio e supposti eventi traumatici. L’esperto, anche, se non richiesto, non deve esprimere sul punto della compatibilità né pareri né formulare alcuna conclusione.

10. La funzione dell’esperto incaricato di effettuare una valutazione sul minore a fini giudiziari deve restare distinta da quella finalizzata al sostegno e trattamento e va pertanto affidata a soggetti diversi. La distinzione dei ruoli e dei soggetti deve essere rispettata anche nel caso in cui tali compiti siano attribuiti ai servizi socio-sanitari pubblici. In ogni caso i dati ottenuti nel corso delle attività di sostegno e di terapia del minore non sono influenti, per loro natura, ai fini dell’accertamento dei fatti che è riservato esclusivamente all’autorità giudiziaria.

11. L’assistenza psicologica al minore va affidata ad un operatore specializzato che manterrà l’incarico in ogni stato e grado del procedimento penale. Tale persona dovrà essere diversa dall’esperto e non potrà comunque interferire nelle attività di indagine e di formazione della prova.

12. Alla luce dei principi espressi da questa Carta si segnala l’urgenza che le istituzioni competenti diano concreta attuazione alle seguenti prescrizioni contenute nell’art. 8 del PROTOCOLLO ALLA CONVENZIONE DEI DIRITTI DEL FANCIULLO SULLA VENDITA DI BAMBINI,LA PROSTITUZIONE DEI BAMBINI E LA PORNOGRAFIA RAPPRESENTANTE BAMBINI (stipulato il 6 settembre 2000 a New York, ratificato con legge dello Stato 11 marzo 2002 n. 46) con le quali:

1. Gli Stati Parte adottano ad ogni stadio della procedura penale le misure necessarie per proteggere i diritti e gli interessi dei bambini che sono vittime delle pratiche proscritte dal presente Protocollo, in particolare:

a) Riconoscendo la vulnerabilità delle vittime ed adottando le procedure in modo da tenere debitamente conto dei loro particolari bisogni, in particolare in quanto testimoni;

b) Informando le vittime riguardo ai loro diritti, al loro ruolo ed alla portata della procedura, nonché alla programmazione e allo svolgimento della stessa, e circa la decisione pronunciata per il loro caso;

c) Permettendo che, quando gli interessi personali delle vittime sono stati coinvolti, le loro opinioni, i loro bisogni o le loro preoccupazioni siano presentate ed esaminate durante la procedura in modo conforme alle regole di procedura del diritto interno;

d) Fornendo alle vittime servizi di assistenza appropriati, ad ogni stadio della procedura giudiziaria;

e) Proteggendo, se del caso, la vita privata e l’identità delle vittime e adottando misure conformi al diritto interno per prevenire la divulgazione di qualsiasi informazione atta ad identificarle;
f) [...]
g) [...]
2. [...]

3. Gli Stati Parte si accertano che nel modo di trattare le vittime dei reati descritti nel presente Protocollo da parte dell’ordinamento giudiziario penale, l’interesse superiore del bambino sia sempre il criterio fondamentale.

4. Gli Stati Parte adottano misure per impartire una formazione appropriata, in particolare in ambito giuridico e psicologico, alle persone che si occupano delle vittime dei reati di cui al presente Protocollo.

5. Se del caso, gli Stati Parte si adoperano come necessario per garantire la sicurezza e l’integrità delle persone e/o degli organismi di prevenzione e/o di tutela e riabilitazione delle vittime di tali reati.

6. Nessuna disposizione del presente articolo pregiudica il diritto dell’accusato ad un processo equo o imparziale o è incompatibile con tale diritto.

Comitato d'Esperti
AGGIORNAMENTO DELLA CARTA DI NOTO
Noto (Siracusa), 4 - 7 luglio 2002
***
Elenco Partecipanti
Dr. Adriana Alfieri
Psicologa, Psicoterapeuta
Centro di Salute Mentale ASL 8
V.le Tica, 39 -Siracusa
Avv. Germano Bellussi
Avvocato, Psicoterapeuta
Corso del Popolo 58
30172 Mestre (VE)
Dr. Cristina Cabras
Docente Psicologia Giuridica,
Università di Cagliari,
Facoltà di Scienze della Formazione
Via Is Mirrionis 1 -09123 Cagliari
Dr. Paolo Capri
Psicologo, Psicoterapeuta
Presidente CEIPA (Istituto di Formazione e Ricerca Scientifica)
Membro esperto Commissione Deontologica Ordine degli Psicologi del Lazio.
Via Bisagno, 15 -00199 Roma
Avv. Domenico Carponi Schittar
Avvocato
Via Aleardi, 41 - 30172 Mestre, Venezia
Prof. Avv. Claudia Cesari
Avvocato Penalista
Associato di Procedura Penale
Università di Macerata - Istituto di Diritto e Procedura Penale
Via Garibaldi, 20 -62100 Macerata
S.E. Prof. Giovanni Conso
Presidente Onorario Corte Costituzionale
già Ministro di Grazia e Giustizia
Professore Emerito di Procedura Penale - Università di Torino
Presidente Conferenza Diplomatica per l'Istituzione di una Corte
Penale Internazionale - Roma
Avv. Luisella de Cataldo Neuburger
Avvocato, Psicologo,
Presidente Associazione Italiana di Psicologia Giuridica (AIPG)
Via Ippolito Nievo, 2 - Milano
Don Fortunato Di Noto
Vice Presidente Mondiale
"Innocenza in Pericolo"- Avola, Siracusa
Avv. Antonio Forza
Avvocato
S. Marco 4600 - 30124 Venezia
Dr. Giuliano Giaimis
Medico Dirigente
Neuropsichiatria Infantile
Roma RMC
Via Filippo Carcano, 25
00147 Roma
Prof. Glauco Giostra
Ordinario di Procedura Penale
Istituto di Diritto e Procedura Penale
Facoltà di Giurisprudenza
Università di Macerata
Corso Garibaldi 20 -62100 Macerata
Prof.Avv. Guglielmo Gulotta
Avvocato, Psicologo
Ordinario di Psicologia Giuridica - Facoltà di Psicologia
Università di Torino
Via Morosini, 39 -20135 Milano
Dr. Anita Lanotte
Psicologo, Psicoterapeuta
Vice Presidente CEIPA (Istituto di Formazione e Ricerca Scientifica)
Socio Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale, Roma.
Via Bisagno, 15 -00199 Roma
Pres. Luigi Lanza
Presidente
II Sezione Corte d'Assise d'Appello
30100 Venezia
Dr. Vania Patané
Prof. Associato Facoltà di Giurisprudenza
Università di Catania
Via Gallo, 24 - 95124 Catania
Avv. Ettore Randazzo
Avvocato, Responsabile delle Scuole per
penalisti, Unione delle Camere Penali;
Professore a contratto, Facoltà di Giurisprudenza,
Università di Urbino
Via C. Tacito, 50 -00193 Roma
Viale Tunisi, 29 - 96100 Siracusa
Prof. Lino Rossi
Psicologo Forense
Docente di Psicoterapia della Famiglia,
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Piazza del Monte, 9
42100 Reggio Emilia
Università degli Studi di Ferrara
CARID Via Savonarola, 27
44100 Ferrara
Prof. Fulvio Scaparro
Psicoterapeuta
Via Castelfidardo, 8
20121 Milano
Dr. Franco Scirpo
Psicologo Psicoterapeuta
Via Mortellaro, 7 -Siracusa
Dr. Gustavo Sergio
Magistrato
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni,
Via Bissa -30100 Venezia Mestre
S.E. Cons. Giovanni Tinebra
Segretario Consiglio di Direzione I.S.I.S.C.
Capo DipartimentoAmministrazione Penitenziaria
Ministero della Giustizia
Largo Luigi Daga, 2 -00164 Roma
Dr. Angelo Varese
Psicanalista, Psicologo, Psicoterapeuta
Mestre, Venezia
Pres. Dr. Piero Luigi Vigna
Procuratore Nazionale Antimafia
Direzione Nazionale Antimafia
Via Giulia, 52 - 00186 Roma
Noto 7 luglio 2002

11 maggio 2007

Il programma del quarto week-end

UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE
Centro Formazione e Aggiornamento Professionale degli Avvocati

X CORSO NAZIONALE DI
FORMAZIONE SPECIALISTICA
DELL’AVVOCATO PENALISTA

ROMA- Sala Cesarini del Grand Hotel Palatino
(via Cavour n. 213/m – tel. 06.4814972, fax 06.4740726)


Programma quarto week-end
25 - 27 maggio 2007

VENERDI’ 25 MAGGIO

Ore 16.00
Le Indagini Difensive: chi, come, quando, dove, perché
Dottor Renato BRICCHETTI – Consigliere Corte di Cassazione
Avv. Ettore RANDAZZO - Direttore Scientifico del Corso

Ore 18.45
Pausa
Ore 19.00
Dibattito e domande dei corsisti

Ore 20.00
Conclusione dei lavori

SABATO 26 MAGGIO

Ore 9.00
Strategie difensive in vista del dibattimento
Avv. Carmelo PASSANISI – Foro di Catania

Ore 10.45
Pausa

Ore 11.00
La collaborazione del Difensore con i Consulenti della Difesa
Lo psicologo giuridico: Avv. Prof. Luisella de CATALDO- Foro di Milano

Ore 13.00
Conclusione dei lavori

Ore 15.00
Assunzione e valutazione della prova, anche in vista della motivazione e delle impugnazioni
Dott. Francesco Mauro IACOVIELLO - Sost. Proc. Gen. Corte di Cassazione
Avv. Prof. Emanuele FRAGASSO - Foro di Padova

Ore 17.45
Pausa

Ore 18.00
Il rapporto del difensore con i magistrati e il dovere di verità
Prof. Francesco CAVALLA Professore di Filosofia del Diritto Univ. Padova

Ore 19.00
Conclusione dei lavori

DOMENICA 27 MAGGIO

Ore 9.00
Il rapporto del difensore con i magistrati e il dovere di verità
Prof. Francesco CAVALLA Professore di Filosofia del Diritto Univ. Padova
Avv. Titta MADIA – Foro di Roma

Ore 12.00
Conclusione dei lavori

9 maggio 2007

La scuola centrale dell’Unione delle Camere Penali Italiane per la formazione, qualificazione e formazione specialistica dell’avvocato penalista ha organizzato in collaborazione con il Centro per la formazione e l’aggiornamento professionale degli avvocati del Consiglio Nazionale Forense, il X Corso nazionale di Formazione specialistica dell’avvocato penalista, con l’obiettivo di far conseguire ai partecipanti una professionalità di alto profilo.
Il Corso è tenuto da avvocati, docenti universitari ed altri esperti, ed è finalizzato alla qualificazione specialistica mediante l’approfondimento deontologico e strategico delle tecniche difensive. Durante lo svolgimento del corso, i partecipanti saranno affiancati da tutor.
Il Corso si svolgerà a Roma, presso la Sala CESARINI del Grand Hotel PALATINO (via Cavour n. 213/M), avrà inizio il 23 febbraio 2007 e si concluderà l’11 novembre 2007, con sospensione estiva nei mesi di luglio e agosto, e sarà suddiviso in otto week-end, secondo gli orari e le sessioni di seguito indicate: il venerdì (dalle 16 alle 20), il sabato (dalle ore 9 alle ore 13, e dalle ore 15 alle ore 19) e la domenica (dalle ore 9 alle ore 12), dei giorni 23 - 25 febbraio, 23 - 25 marzo, 20 - 22 aprile, 25 - 27 maggio, 22 - 24 giugno, 28 - 30 settembre, 12 - 14 ottobre, 9 - 11 novembre.
Al Corso partecipano gli avvocati che esercitano da almeno cinque anni l’attività professionale nel settore penale, ovvero che alla data della pubblicazione del bando abbiano conseguito l’attestato di proficua frequenza ad un corso organizzato da una Camera penale territoriale.
Per motivi didattici e organizzativi, il numero massimo di partecipanti è fissato in 180.
Il Comitato è composto da :
Avv. Ettore Randazzo
Responsabile nazionale delle Scuole UCPI
Avv. Beniamino Migliucci
Delegato della Giunta UCPI
Avv.Valerio Spigarelli
Avv. Carmela Parziale
Avv. Vincenzo Comi
A cura del Consiglio di gestione della Scuola centrale di formazione specialistica per l'avvocato penalista .

Il Comitato di gestione

  • Avv. Ettore Randazzo, responsabile nazionale delle Scuole dell'UCPI
  • Avv. Beniamino Migliucci, delegato della Giunta dell'UCPI
  • Avv. Valerio Spigarelli
  • Avv. Carmela Parziale
  • Avv. Vincenzo Comi

Note ed avvertenze

Questo blog ha lo scopo di fornire ai partecipanti informazioni sul materiale scientifico relativo agli argomenti trattati durante il Corso, non è, quindi, un prodotto editoriale e viene aggiornato a seconda della disponibilità di materiale. L'obiettivo perseguito è quello di fornire un'informazione aggiornata e precisa. Qualora dovessero essere segnalati degli errori, si provvederà a correggerli. L’Unione delle Camere penali non assume alcuna responsabilità per quanto riguarda le informazioni qui contenute.
Tali informazioni:
• sono di carattere esclusivamente generale, e non riguardano fatti specifici relativi ad una persona o ad un organismo determinati;
• non sempre sono necessariamente esaurienti, complete, precise o aggiornate;
• sono talvolta collegate con siti esterni sui quali l’Unione delle Camere penali non ha alcun controllo e per i quali l’associazione non si assume alcuna responsabilità;
• gli elaborati contenuti nel blog non costituiscono pareri di tipo professionale o legale.
Va ricordato che non si può garantire che un documento disponibile in linea riproduca esattamente un testo adottato ufficialmente.Quanto raccolto (documenti, segnalazioni ecc.ecc.) in questo blog sarà utilizzato, previo consenso dell'utente, solo ed unicamente per le finalità come già descritte. E’ gradita ed auspicata la collaborazione di ogni iscritto, avvertendo che gli elaborati inviati non saranno restituiti.