La rassegna di dottrina e giurisprudenza del Corso nazionale di formazione specialistica dell'avvocato penalista organizzato dall'Unione delle Camere penali italiane in collaborazione con il Centro per la formazione e l'aggiornamento professionale degli avvocati del Consiglio Nazionale Forense.

1 ottobre 2007

RELAZIONE DI ACCOMPAGNAMENTO AL REGOLAMENTO PER LA FORMAZIONE CONTINUA APPROVATO IL 13.7.2007

Approvata il 20 settembre 2007 la relazione con la quale il Consiglio Nazionale Forense illustra il Regolamento per la formazione professionale continua del 13 luglio 2007, entrato in vigore il 1° settembre 2007, che prevede un percorso di aggiornamento e formazione continua degli avvocati.

(Altalex, 27 settembre 2007. Si ringrazia della segnalazione l'Avv. Franco Ballati)


CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

RELAZIONE DI ACCOMPAGNAMENTO AL REGOLAMENTO PER LA FORMAZIONE CONTINUA APPROVATO IL 13.7.2007


ART. 1. Formazione professionale continua.

1-. L’art. 1 individua al primo comma i soggetti destinatari delle disposizioni del Regolamento e cioè l’avvocato iscritto all’albo ed il praticante con patrocinio.

Quanto al primo, l’inciso iscritto all’albo e la mancanza di un richiamo all’esercizio effettivo dell’attività professionale, stanno a significare che l’obbligo di formazione continua sussiste per il solo fatto dell’iscrizione nell’albo a prescindere dal se rifletta, o meno, un esercizio in atto dell’attività e perciò anche se quest’ultima, oltre al caso in cui non è svolta, sia marginale, episodica, discontinua.

Ciò è conforme al principio – che viene in rilievo in materia di incompatibilità professionali (art. 3, RdL 1578/1933) - per cui non è prevista un’iscrizione ai soli fini del titolo e, quale fattore che legittima di per sé l’attività, essa (iscrizione) innesca la premessa per considerare operanti tutte le regole che disciplinano la professione.

Pertanto, ai fini di accertare l’attualità dell’obbligo formativo, non è impiegabile nemmeno il criterio dell’esercizio della professione con carattere di continuità che, mentre regola l’obbligo di iscrizione alla Cassa di previdenza forense (art. 22/1 legge 20.9.1980, n. 576 in relazione all’art. 2, legge 21.7.1975, n. 312), non rileva affatto in questa sede; con la conseguenza che anche chi non esercita con carattere di continuità è tenuto a rispettare l’obbligo formativo.

Fermo il principio generale, l’eventuale mancato esercizio professionale può eccezionalmente rilevare ai fini dell’esenzione dall’obbligo formativo solo nei casi ed alle condizioni previste dall’art. 5 e cioè – per quanto qui rileva - quando si tratti di interruzione dell’attività non inferiore a sei mesi, o di suo trasferimento all’estero, sempre che l’interessato ottenga, su sua specifica richiesta, un’espressa dispensa da parte del Consiglio dell’Ordine.

Quanto al praticante con patrocinio, è parso necessario includere anche questa figura nel novero dei soggetti destinatari dell’obbligo, tenuto conto che la relativa abilitazione, negli affari in cui è riconosciuta la competenza, conferisce lo ius postulandi pieno ed effettivo e l’attività è professionale a tutti gli effetti;

come dimostra il fatto che, seppur su formula diversa, anche il suo esercizio è subordinato al previo giuramento (art. 8/3 RdL 1578/1933), essa è controllata disciplinarmente in relazione ad eventuali abusi o mancanze (art. 57, seconda parte, Rd 37/1934) e, soprattutto, rileva sotto il profilo delle incompatibilità alla stessa stregua che se si trattasse di quella posta in essere da un avvocato (art. 13, Rd 37/1934).

Va tuttavia notato che il sorgere dell’obbligo formativo può, come no, coincidere col momento dell’iscrizione dell’interessato nello speciale registro degli abilitati al patrocinio.

Infatti:

(i) coincidenza vi è se l’iscrizione avviene in momento coevo, o successivo, al rilascio del certificato di compiuta pratica;

(ii) coincidenza non vi è se l’iscrizione avviene nel corso del secondo anno di pratica quando, pur essendo ciò possibile, l’interessato non ha ancora ottenuto il certificato di compiuta pratica.

Nel primo caso, l’obbligo formativo nasce nel momento stesso dell’iscrizione nel registro degli abilitati; nel secondo è differito al giorno del rilascio del certificato.

La ragione di questa diversificazione è evidente: l’abilitato al patrocinio cui non sia stato rilasciato il certificato di compiuta pratica, è ancora soggetto agli obblighi lato sensu formativi che gravano sul praticante semplice, controllato periodicamente dal Consiglio dell’Ordine tramite l’analisi del libretto della pratica.

2-. L’ultima parte del primo comma dell’art. 1 cit. definisce, in via generale, il contenuto dell’obbligo formativo specificando che esso si esprime nelle due direzioni (i) del mantenimento e (ii) dell’aggiornamento della preparazione professionale.

Si tratta di aspetto centrale nell’ottica del regolamento; infatti, delinea l’essenza della formazione e fornisce contemporaneamente precise indicazioni ai Consigli dell’Ordine circa la direzione che essi devono imprimere alla loro attività.

In passato, la formazione era intesa come percorso di acquisizione conoscitiva che termina con l’ingresso nella vita lavorativa e rispetto ad essa si concepiva il mantenimento come forma di aggiornamento delle conoscenze già acquisite.

L’aggiornamento è oggi inteso non più come mantenimento di conoscenze già acquisite, bensì come processo culturale di crescita professionale.

Miglioramento e perfezionamento sono, perciò, i nuovi orizzonti della formazione.

La classe forense italiana non poteva restare indifferente al fatto che ad una formazione continua dell’avvocato così intensa fanno riferimento la raccomandazione 2000(21) del Consiglio d’Europa del 25.10.2000, la risoluzione dell’11.2.1999 e la raccomandazione on continuing training del 28.11.2003 del CCBE.

In sede europea, questo processo, inteso come attività di apprendimento che si snoda lungo tutta la vita professionale e che ha lo scopo di implementare le conoscenze, le abilità e le competenze, è definito come lifelong learning ed è considerato un fattore chiave per favorire la competitività e lo sviluppo economico.

Il regolamento per la formazione continua elaborato dal Consiglio nazionale forense si inserisce in questa prospettiva e l’art. 1 cit. rende chiaro che l’attività formativa non è solo quella che garantisce la manutenzione di ciò che si sa, ma si indirizza soprattutto ad ampliare i confini delle conoscenze.

In questo senso, il comma quarto del cit. art. 1 secondo cui “Con l’espressione formazione professionale continua si intende ogni attività di accrescimento ed approfondimento delle conoscenze e delle competenze professionali, nonché il loro aggiornamento mediante la partecipazione ad iniziative culturali in campo giuridico e forense”, enuncia l’adesione del Consiglio nazionale forense alla concezione della formazione professionale come lifelong learning.

Di ciò è necessario che i Consigli dell’Ordine tengano conto, sia nel predisporre i propri programmi formativi, sia nel valutare la congruità ed efficienza di quelli eventualmente predisposti da altri, con un’attenzione costantemente rivolta all’apprezzamento della qualità del prodotto nella prospettiva segnalata (apertura alle novità, oltre che manutenzione delle conoscenze acquisite).

3-. Il secondo comma dell’art. 1 stabilisce che i soggetti interessati dall’obbligo formativo hanno il dovere di partecipare alle attività di formazione professionale continua.

A prescindere dalle indicazioni del regolamento, che il mantenimento e l’apprendimento di nuove conoscenze rappresentino il contenuto di un dovere già esistente e per di più mediatamente giuridico, è reso evidente dal fatto che l’art. 1176, 2° comma, c.c. introduce il metro di valutazione della perizia riferibile al complesso delle cognizioni tecniche richiedibili all’interessato, frutto dello studio e dell’esperienza, presupposto oggettivo del contratto d’opera professionale.

Se è vero che l’obbligazione professionale è di mezzi, allora l’avvocato è impegnato a mettere a disposizione del cliente il bagaglio di conoscenze utili al raggiungimento del fine; e poiché la prestazione deve essere eseguita con la diligenza professionale appropriata, l’adempimento del dovere di aggiornamento è funzione del possesso della perizia adeguata al caso, mentre quest’ultima è senz’altro esclusa dall’ignoranza.

Pertanto, l’aggiornamento già si pone – a prescindere dal Regolamento - sul versante dell’obbligazione giuridicamente intesa perché è strumentale a garantire il possesso della perizia necessaria all’adempimento del compito.

Oltre a ciò, il dovere presenta anche una valenza deontologica (quella che qui interessa esaminare) da apprezzare da due concorrenti, ma diverse angolazioni.

(A) Da una prima angolazione, il riferimento contenuto nella norma si salda:

(i) con la previsione dell’art. 12 del Codice deontologico Forense (CdF), canone II, che, sotto la rubrica Dovere di competenza ed in collegamento col principio generale per cui “l’avvocato non deve accettare incarichi che sappia di non poter svolgere con adeguata competenza”, ricorda come “l’accettazione di un determinato incarico professionale fa presumere la competenza a svolgere quell’incarico”;

(ii) con l’art. 13 CdF per il quale “(…) è dovere dell’avvocato curare costantemente la propria preparazione professionale, conservando e accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori nei quali l’attività è svolta”.

Da questo punto di vista, il riferimento dell’art. 6 Regolamento al fatto che costituisce “(…) illecito disciplinare il mancato adempimento dell’obbligo formativo” (art. 6, 2° comma, prima parte Regolamento), è esplicitazione di una regola da ritenersi già contenuta nei citt. artt. 12 e 13 CdF.

(B) Da una seconda angolazione, la portata deontologica del dovere si apprezza compiutamente collegando la previsione in commento con quella del terzo comma del cit. art. 1 ove si dice che “l’adempimento di tale dovere, con riferimento agli ambiti in cui si comunica di esercitare l’attività professionale prevalente, è altresì condizione per la spendita deontologicamente corretta, ai sensi dell’art. 17 bis del codice deontologico forense, dell’indicazione dell’attività prevalente in qualsiasi comunicazione diretta al singolo o alla collettività”.

In tal modo si può dire che il Regolamento integra il CdF poiché delinea i contorni della liceità deontologica della comunicazione che ex art. 17 bis CdF l’avvocato può dare a proposito delle caratteristiche della propria attività.

Ne deriva che l’inadempimento dell’obbligo formativo rileva:

(iii) sempre, quale violazione apprezzabile ex artt. 12 e/o 13 CdF;

(iv) eventualmente (ed in tal caso in via cumulativa rispetto alla precedente violazione), se esso si accompagni alla comunicazione di esercitare in un ambito prevalente, quando tale ambito è quello interessato dall’inadempimento dell’obbligo formativo.

4-. Come si è visto, il comma terzo del cit. art. 1 accenna all’attività prevalente.

Il punto corrisponde ad un altro aspetto di centrale rilevanza.

Per meglio comprenderne portata e significato, occorre richiamare il penultimo ed ultimo considerando del Regolamento ove si fa cenno, rispettivamente, al fatto che la disciplina dell’aggiornamento riguarda l’attività generalista e prevalente con rinvio a diverso regolamento per quella specialistica, e che sino all’adozione di quest’ultima, “anche per gli esercenti attività specialistica ai sensi delle vigenti disposizioni di legge valgono gli obblighi e le modalità di espletamento dell’aggiornamento previsti per gli esercenti attività generalista e prevalente”.

La definizione concettuale di attività generalista e prevalente è apparentemente semplice: la prima è quella di chi esercita senza limitazioni in tutti i campi di possibile espansione dell’attività professionale, la seconda è di chi esercita prevalentemente in un dato settore.

Il problema sussiste quando questi concetti devono essere raccordati con le finalità del Regolamento.

La scelta del Consiglio nazionale forense poteva essere quella di elaborare un'unica disciplina dell’aggiornamento valida per tutti gli avvocati, senza particolari distinzioni; ma ciò avrebbe dato vita ad un sistema inidoneo - sin dal nascere - allo scopo che si prefiggeva perché, vigendo la regola generale della libertà del singolo di scegliere gli eventi formativi (v. § art. 2 infra, § 4), poteva accadere che la formazione avvenisse in settori diversi da quelli praticati professionalmente in via prevalente, rendendo con ciò parzialmente vana la sua funzione.

Se al contrario si fosse imposto l’obbligo formativo nello specifico, o prevalente, campo di esercizio dell’attività professionale, si sarebbe posto il problema degli strumenti da utilizzare per individuare il settore specifico o prevalente, trattandosi di situazione di fatto difficilmente verificabile da parte del Consiglio dell’Ordine.

La combinazione dei due principi – la salvaguardia della libertà di scelta del percorso formativo, la necessità di una coerenza del percorso con l’attività esercitata – e l’impossibilità pratica di verificare, nei fatti, l’ambito di eventuale esercizio prevalente dell’attività, ha indotto ad adottare un sistema che fa perno sulla dichiarazione dell’interessato, idonea di per sè a condizionare la qualità del percorso formativo.

Peraltro, onde evitare che la dichiarazione in questione fosse quella probabilmente interessata rilasciata una volta compiuto il percorso, si è dato rilievo all’indicazione che l’avvocato può dare ai terzi (in tutte le forme comunicative consentite, compresa carta intestata, biglietti e quant’altro), ai sensi dell’art. 17 bis CdF, circa i “(…) settori di esercizio dell’attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente”.

In questo modo viene in rilievo una sorta di principio di autoresponsabilità nel senso che si collega alla spendita e pubblicizzazione dei settori di attività e quindi ad una dichiarazione utile per chi la rende per l’autopromozione della propria immagine, un obbligo di predisporre un percorso formativo coerente.

Il sistema che ne deriva è pertanto il seguente:

(i) l’avvocato che sceglie di non indicare – in ogni forma comunicativa deontologicamente consentita - i “settori di esercizio dell’attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente” (art. 17 bis CdF), beneficia appieno degli effetti favorevoli della regola della libertà di scelta degli eventi e delle attività formative da svolgere e non incontra alcuna limitazione tranne quella di dover dedicare una parte della formazione all’ordinamento professionale e previdenziale ed alla deontologia (infra art. 2, § 4). Si potrebbe definire quest’ultimo come uno zoccolo duro formativo generico in quanto comune a tutti senza distinzione (infatti opera anche per chi è esentato dalla formazione e cioè i professori universitari).

(ii) L’avvocato che invece sceglie di dare le indicazioni consentite dall’art. 17 bis CdF, beneficia degli effetti della medesima regola della libertà di scelta degli eventi e delle attività formative per la maggior parte del suo percorso formativo, ma questa regola non opera per una residua parte del percorso;

infatti, almeno 30 crediti formativi nel triennio dovranno essere conseguiti partecipando ad eventi ed attività formative coerenti con le materie oggetto delle indicazioni date ex art. 17 bis CdF. Si potrebbe definire questo come uno zoccolo duro formativo specifico.

Per quanto invece attiene all’attività specialistica, l’ultimo considerando precisa che essa è tale in quanto così definibile “(…) ai sensi delle vigenti disposizioni di legge”.

Non va pertanto confusa con l’attività specialistica quella esercitata, per esempio, in via esclusiva (ad es. quella del civilista, penalista, amministrativista, etc.), ma l’altra che meriti l’appellativo secondo legge (ad es. si può fregiare del titolo di specialista in diritto civile l’avvocato che abbia conseguito il titolo di dottore di ricerca in diritto dei contratti).

Un regolamento della formazione che tenga conto delle esigenze formative di tali specialisti, richiede una particolare attenzione ed è parso opportuno rinviarne l’edizione a momento successivo, anche per consentire di effettuare una completa ricognizione delle (per la verità limitate) ipotesi normative che contemplano l’attribuzione del titolo di specialista ed aver verificato se ed in che misura un’esigenza formativa esista anche in tali ipotesi.

Sino a quel momento valgono, pertanto, anche per gli eventuali specialisti, le regole per la formazione proprie degli altri avvocati.

Art. 2-. Durata e contenuto dell’obbligo.

1-. Nel primo e secondo comma dell’art. 2 vengono introdotti i concetti di anno formativo, di periodo di valutazione della formazione continua e di credito formativo.

L’anno formativo è l’unità di tempo minima di svolgimento dell’attività di formazione; esso coincide con l’anno solare.

Il periodo di valutazione della formazione continua è, invece, l’arco di tempo minimo rispetto al quale il Consiglio dell’ordine effettua la verifica dell’adempimento dell’obbligo di formazione continua; esso ha durata triennale.

Il credito formativo è l’unità di misura della formazione continua.

Nel terzo comma è introdotto il concetto per cui nel triennio devono essere conseguiti almeno novanta crediti, di cui almeno venti acquisiti in ogni singolo anno formativo.

La raffigurazione geometrica di simile impianto logico è quella di due cerchi concentrici dei quali l’uno più ampio – il periodo di valutazione della formazione continua – contiene l’altro più ristretto – l’anno formativo –.

Tre anni formativi compongono il periodo minimo di valutazione formativa rispetto al quale può essere controllato il se dell’adempimento dell’obbligo.

La previsione di un periodo di valutazione triennale facilita (ed è questa la ragione della norma) l’adempimento dell’obbligo perché in tal modo l’interessato è in grado di recuperare nel triennio eventuali debiti formativi, fermo rimanendo che in ciascun anno devono essere stati acquisiti almeno venti crediti.

Gli esempi che seguono servono a meglio chiarire il concetto.

L’iscritto dimostra:

(A) di aver conseguito al termine del triennio 90 crediti, di cui 30 nel primo anno, 30 nel secondo, 30 nel terzo;

(B) di aver conseguito al termine del triennio 90 crediti, di cui 20 nel primo anno, 30 nel secondo, 40 nel terzo;

(C) di aver conseguito al termine del triennio 90 crediti, di cui 10 nel primo anno, 30 nel secondo, 50 nel terzo;

(D) di aver conseguito al termine del triennio 80 crediti, di cui 30 nel primo anno, 30 nel secondo, 20 nel terzo.

Nei casi (A) e (B) l’obbligo formativo è adempiuto correttamente, nel primo perché i 90 crediti totali sono stati omogeneamente ripartiti secondo quote costanti nei tre anni (30 crediti/anno), nel secondo perché, seppur i 90 crediti totali non sono stati omogeneamente ripartiti (20-30-40/anno), il livello minimo di 90 crediti è stato raggiunto rispettando il limite minimo di almeno 20/crediti/anno.

Non altrettanto può dirsi nei casi (C) e (D).

In quello (C) perché al rispetto del limite minimo di 90 crediti nel triennio, non corrisponde il rispetto del limite minimo di venti crediti/anno essendone stati conseguiti solo 10 nel primo; nel caso (D) perché non risulta rispettato il limite minimo di 90 crediti nel triennio.

Come si vede, il giudizio positivo dipende dalla combinazione di due fattori, che devono essere contemporaneamente presenti, (i) il rispetto del limite generale di 90 crediti e (ii) di quello particolare di 20/crediti/anno.

2-. La prima parte del primo comma dell’art. 2 stabilisce che l’obbligo di formazione decorre dal primo gennaio dell’anno solare successivo a quello di iscrizione all’albo, o di rilascio del certificato di compiuta pratica.

Questo significa, ad esempio, che:

(i) se l’iscrizione all’albo è avvenuta ad agosto 2008 (ii) ovvero il certificato di compiuta pratica è stato rilasciato a novembre 2008, in tutti e due questi casi l’obbligo di formazione decorre dal 1° gennaio 2009.

Si è reso necessario stabilire questa regola proprio perché l’anno formativo è fatto coincidere con l’anno solare e dunque per facilitare il conseguimento del risultato senza complicare il compito di chi deve accertare la regolarità degli adempimenti.

Stante il fatto che il periodo di valutazione della formazione continua è invece corrispondente ad un triennio, negli esempi di cui sopra si avrà che i tre anni solari 2009, 2010 e 2011 costituiranno ciascuno il singolo anno formativo e tutti insieme andranno a comporre il triennio entro il quale deve essere adempiuto l’obbligo di formazione, al termine del quale sarà effettuato il relativo controllo.

3-. La regola così esposta è combinata con una disciplina di favore contenuta nella seconda parte del primo comma dell’art. 2 cit.

Si prevede, infatti, che nonostante l’obbligo formativo decorra dal primo gennaio dell’anno solare successivo a quello dell’iscrizione all’albo, o di conseguimento del certificato di compiuta pratica, l’iscritto può ottenere il riconoscimento di crediti formativi maturati su base non obbligatoria, ma in conformità alle previsioni del regolamento, nel periodo intercorrente tra la data dell’iscrizione, o del rilascio del certificato di compiuta pratica, ed il momento di inizio dell’obbligo formativo.

Negli esempi sopra fatti, se tra agosto e fine dicembre 2008 e, rispettivamente tra novembre e fine dicembre 2008, l’interessato partecipa ad eventi formativi che attribuiscono crediti, teoricamente quest’ultimi non potrebbero essergli riconosciuti perché conseguiti in periodo di non vigenza dell’obbligo formativo; sennonché, per evitare l’inutile perdita di occasioni formative, la norma prevede – appunto – che anche quei crediti possano essere conteggiati se essi sono conseguiti in modo conforme alle regole esposte nel regolamento.

Nei casi suindicati, l’interessato si troverà allora ad iniziare il primo anno formativo con un patrimonio già acquisito pari ai crediti conseguiti volontariamente.

La previsione è di particolare importanza per tutti coloro che dovessero iscriversi all’albo, o ricevere il certificato di compiuta pratica nei primi giorni, o mesi, dell’anno; se non esistesse questa norma, essi avrebbero davanti a sé un lungo periodo di tempo durante il quale, non essendo attuale il loro obbligo formativo, non potrebbero nemmeno mettere a profitto l’eventuale partecipazione ad eventi formativi.

4-. I commi quarto e quinto dell’art. 2 vanno esaminati congiuntamente perché la regola generale della libertà di scelta dell’evento formativo affermata dal comma quarto, è in parte corretta dal successivo comma quinto, se ricorre il caso ivi previsto.

In linea generale, uno dei principi fondanti l’impianto del Regolamento è quello della libertà di scelta da parte dell’iscritto dell’evento formativo, all’unica condizione che quest’ultimo rientri tra quelli riconosciuti come attributivi di crediti formativi.

Tale libertà non è solo relativa al tipo e contenuto dell’evento ma è, per così dire, anche geografica nel senso che l’iscritto può partecipare a qualsiasi evento formativo organizzato, o accreditato, da qualsiasi Consiglio dell’Ordine sull’intero territorio nazionale (o anche all’estero).

Ed è proprio per consentire ciò che l’art. 3, comma quinto prevede che ciascun Consiglio dell’Ordine dia notizia al Consiglio nazionale forense di tutti gli eventi formativi da esso medesimo organizzati, o altrimenti accreditati, per permettere al Consiglio nazionale forense di curarne la pubblicazione nel suo sito Internet e con ciò favorire la più vasta diffusione e conoscenza di tali eventi e quindi la partecipazione anche di iscritti in albi e registri tenuti da altri consigli.

Questo principio di carattere generale subisce due limitazioni:

(i) quella di cui alla seconda parte del quarto comma dell’art. 2 cit.;

(ii) quella di cui al comma quinto.

La prima limitazione è nel senso che dei 90 crediti formativi da conseguire nel triennio, almeno 15 devono derivare, nel medesimo triennio, da attività ed eventi formativi aventi ad oggetto l’ordinamento professionale e previdenziale e la deontologia.

La seconda è nel senso che almeno 30 crediti nel triennio devono derivare da attività ed eventi formativi aventi ad oggetto l’attività prevalente solo se essa sia stata oggetto di comunicazione ai sensi dell’art. 17 bis del CdF (v. supra, art. 1. § 4).

Art. 3-. Eventi formativi.

1-. La partecipazione effettiva ed adeguatamente documentata ad un evento formativo costituisce modalità normale di adempimento dell’obbligo formativo (art. 3, 1° comma).

Ad esempio, una partecipazione può dirsi effettiva quando si traduce in una presenza continua e (auspicabilmente) attenta ad un convegno non esclusivamente nel momento iniziale, quanto basta, cioè, per far registrare la presenza, salvo poi disertarlo.

Così il concetto di effettività è reso concreto dal riferimento all’adeguata documentazione che, per quanto detto, non potrà consistere nella sola registrazione della presenza nel momento iniziale, ma dovrà dar conto anche dell’uscita (anche di quelle intermedie).

Adeguati allo scopo potrebbero essere dei badges distribuiti all’entrata ad ogni partecipante (il cui nome verrebbe registrato associandolo al badge), da restituire all’uscita e da inserire, all’inizio ed alla fine, nell’apposito lettore; i dati, accoppiati ad ogni partecipante, verrebbero trascritti in un registro tenuto dal Consiglio dell’Ordine che rilascerebbe, quando richiesto, le certificazioni opportune per documentare le dichiarazioni di adempimento dell’obbligo formativo. Ovviamente, rientra nella discrezionalità di ogni Consiglio dell’Ordine individuare le modalità ritenute più opportune a garantire l’obiettivo dell’effettività anzidetta tenendo presente che uno dei problemi da risolvere è quello della possibilità di una firma per procura; patologia che non verrebbe adeguatamente combattuta nemmeno munendo ogni iscritto, in via permanente, di un proprio badge potendo l’interessato recarne con sé una pluralità, appartenenti ad altri iscritti. In questa prospettiva, la consegna dei badges all’ingresso dell’aula dove si svolge l’evento contro firma per ricevuta ed il loro ritiro all’uscita, può meglio garantire dal fenomeno della registrazione della presenza per procura.

Nel caso di utilizzo di sistemi informatici, il Consiglio dell’Ordine sarebbe persino in grado di monitorare il percorso formativo di ogni iscritto a prescindere e prima delle dichiarazioni ed attestazioni di quest’ultimo.

Quando poi l’evento si svolgesse presso un Consiglio dell’Ordine diverso da quello di iscrizione, l’avvocato non avrebbe difficoltà a farsi rilasciare un certificato, estratto dal registro, attestante natura e qualità dell’evento, da esibire al proprio Consiglio di appartenenza.

2-. Gli eventi formativi indicati dalla norma sono:

(i) corsi di aggiornamento e masters, seminari, convegni, giornate di studio e tavole rotonde, anche se eseguiti con modalità telematiche purché sia possibile, in quest’ultimo caso, il controllo della partecipazione;

(ii) commissioni di studio, gruppi di lavoro, o commissioni consiliari, istituiti dal Consiglio nazionale forense e dai Consigli dell’ordine, o da organismi nazionali ed internazionali della categoria professionale;

(iii) altri eventi specificamente individuati dal Consiglio nazionale forense e dai Consigli dell’Ordine.

Quanto alla previsione sub (i), si ritiene che la necessità del controllo della partecipazione non ostacoli l’organizzazione telematica degli eventi formativi (ad esempio video conferenze, o trasmissioni a distanza di programmi registrati) dato che il controllo potrà essere effettuato nel luogo in cui la trasmissione è ricevuta.

Sempre con riferimento alla previsione sub (i) l’elencazione degli eventi formativi deve intendersi riferita a quelli di più comune ricorrenza; non è escluso, pertanto, che sia da considerare evento formativo anche quello che non rientra formalmente – per la modalità classificatoria utilizzata dagli organizzatori – nella tipologia descritta (ad es. un incontro qualificato dagli organizzatori work-shop), ma che presenta lo stesso contenuto informativo e culturale dell’evento tipizzato.

Si tratterà di condurre un’opera interpretativa da parte del Consiglio dell’Ordine di appartenenza dell’iscritto che dovrà decidere se riconoscere, o no, il credito formativo.

Questa attività, peraltro, è una delle possibili declinazioni di quella espressamente prevista sub (iii).

In ordine agli eventi formativi sub (ii), l’esempio potrebbe essere quello della partecipazione, in qualità di membro esterno, alle Commissioni costituite presso il Consiglio nazionale forense, o a specifiche commissioni, interne o esterne ai singoli Consigli dell’Ordine, come ad esempio una Commissione delle pari opportunità.

La previsione sub (iii) sottolinea, infine, l’ampia discrezionalità e libertà, dei singoli Consigli dell’Ordine, alla cui responsabilità è affidata l’individuazione di altri e diversi eventi formativi.

3-. Il comma secondo dell’art. 3 cit. stabilisce che ogni ora di durata (ed di effettiva partecipazione) di un evento formativo attribuisce un credito, ma ogni singolo evento non ne può attribuire più di 24.

Questo significa che quando fossero organizzati eventi formativi che per il loro sviluppo temporale sono in grado di assegnare teoricamente oltre 24 crediti, il numero massimo di crediti conteggiabili non può superare i 24.

La ragione di ciò è evidente; la formazione come longlife learning, in coerenza con il suo scopo, dovrebbe rappresentare una forma di costante ed omogenea crescita culturale durante tutto l’arco della vita professionale e ciò sconsiglia l’adempimento del debito formativo unico actu.

Si suggerisce, pertanto, di organizzare gli eventi formativi evitando la possibilità di conseguire, nello stesso contesto, un numero eccessivo di crediti.

4-. Il comma terzo dell’art. 3 cit. esprime due ulteriori principi cardine della logica del Regolamento, riassumibili nelle formule:

(i) della natura necessariamente qualificata dell’evento formativo;

(ii) dell’inesistenza di una riserva di legittimazione per l’organizzazione degli eventi formativi.

(A) Il primo principio si ricava dall’intero testo del terzo comma secondo il quale “La partecipazione agli eventi di cui alle lettere a) e b) rileva ai fini dell’adempimento del dovere di formazione continua, a condizione che essi siano promossi od organizzati dal Consiglio nazionale forense o dai singoli Consigli dell’ordine territoriali, o, se organizzati da associazioni forensi, altri enti, istituzioni od organismi pubblici o privati, sempre che siano stati preventivamente accreditati, anche sulla base di programmi a durata semestrale o annuale, dal Consiglio nazionale forense o dai singoli Consigli dell’ordine territoriali, a seconda della rispettiva competenza”.

Dunque, non un qualsiasi evento formativo è idoneo a far conseguire il credito, ma solo quello che:

(a) sia stato promosso, od organizzato, dai Consigli dell’Ordine, o dal Consiglio nazionale forense;

(b) se organizzato da altri, sia stato preventivamente accreditato.

In questo senso gli elementi che qualificano l’evento formativo sono la qualità soggettiva dell’organizzatore (Consigli dell’Ordine, o Consiglio nazionale forense), o, in alternativa, il suo accreditamento.

Infine, è necessario precisare che l’espressione promossi od organizzati (riferita ai Consigli dell’Ordine ed al Consiglio nazionale forense) non incorpora un’endiadi; pertanto, dovendo assegnare al concetto di promozione una portata diversa dall’organizzazione, per tale deve intendersi qualsiasi attività, diversa dall’organizzazione, che comunque esprima il coinvolgimento di un Consiglio dell’Ordine, o del Consiglio nazionale forense nell’iniziativa (da altri organizzata); l’esempio è quello del patronage.

Il patrocinio dell’evento incorpora, infatti, un previo giudizio di sua coerenza con la natura e finalità della professione e sicuramente una valutazione della sua serietà, fermo rimanendo che, per essere utili al conseguimento di crediti formativi, si deve trattare di uno degli eventi tipizzati.

(B) Il secondo principio – inesistenza di una riserva di legittimazione – significa che chiunque, senza distinzioni, può organizzare un evento formativo.

Da questo punto di vista, il principio affermato è quello dell’uguale legittimazione di enti, associazioni, istituzioni, organismi pubblici, o privati, operanti, o no, nel settore professionale.

Trattasi di una scelta coerente con la regola di non discriminazione perché, altrimenti, da un lato sarebbe stato arduo discernere tra le varie organizzazioni ed associazioni professionali attribuendo patenti di legittimazione e dall’altro, anche quando tale scelta fosse stata fatta col metro della maggiore rappresentatività riconosciuta sul piano nazionale dal Congresso nazionale forense, sarebbe stata possibile la critica di non coerenza di questa parte del Regolamento con i principi generali in materia di non concorrenza.

Infatti, non essendo né possibile impedire ad enti e società aventi scopo di lucro di organizzare eventi formativi, né sancire la loro inidoneità, se così organizzati, al conseguimento di crediti formativi, una regolamentazione diversa avrebbe creato, o un’illegittima barriera in grado di alterare la concorrenza, ovvero conculcato la libertà di scelta dell’iscritto che deve invece essere libero di organizzare come crede il suo percorso formativo, se del caso anche optando per costosi eventi organizzati da società specializzate.

Il Consiglio nazionale forense ha ben chiaro che il settore formazione può rappresentare la fonte di una lucrosa attività; sennonché, la funzione ulteriore (oltre quella primaria) del Regolamento non è di introdurre fattori regolatori della concorrenza, o selettori delle opportunità, bensì di garantire un processo formativo sviluppato in condizioni di pari opportunità di accesso, senza ostacoli all’esercizio del diritto alla libera scelta.

Il riflesso di questa opzione ideologica si coglie, oltre che nella norma in commento, anche nell’art. 7, 3° comma quando si specifica – a proposito dell’attività dei Consigli dell’Ordine – che questi “(…) favoriscono la formazione gratuita in misura tale da consentire a ciascun iscritto l’adempimento dell’obbligo formativo realizzando eventi formativi non onerosi, allo scopo determinando la contribuzione richiesta ai partecipanti col limite massimo del solo recupero delle spese vive sostenute”.

La scelta riflessa nel Regolamento garantisce in tal modo e contemporaneamente:

(a) la libertà di organizzazione di eventi formativi senza ostacoli all’ingresso nel settore a carico di chiunque, anche ove si tratti di entità che perseguono scopo di lucro;

(b) la libertà di scelta dell’iscritto di partecipare ad eventi formativi organizzati da chiunque, se del caso anche a pagamento;

(c) la possibilità, per chi non voglia o non possa fruire di eventi formativi a pagamento, di adempiere comunque il suo obbligo tramite partecipazione agli eventi formativi organizzati gratuitamente dai singoli Consigli dell’Ordine.

Come si vede, anche in questo caso si ha modo di apprezzare il ruolo centrale e socialmente qualificato dei Consigli dell’Ordine che così contribuiscono a realizzare una funzione di interesse collettivo.

L’opzione ideologica del Regolamento così formulata, pare in grado di conciliare e garantire l’attuazione di tre importanti obiettivi:

(a) il rispetto dei principi di libertà e di autodeterminazione;

(b) la difesa della centralità del ruolo dei Consigli dell’Ordine nel rendere effettivo il diritto/dovere alla formazione;

(c) lo spostamento del centro di gravità del fenomeno formazione dal soggetto che organizza l’evento formativo, alla natura, consistenza e qualità di quest’ultimo.

5-. Sempre il terzo comma dell’art. 3 evidenzia un’altra qualità dell’accreditamento: esso infatti può essere selettivo, e dunque riguardare un singolo e determinato evento formativo, oppure cumulativo, e dunque riguardare tutti, o alcuni degli eventi formativi compresi in un programma semestrale, o annuale, predisposto da chi organizza l’evento.

6-. In ordine alla competenza, l’accreditamento è dato dal Consiglio dell’Ordine nel cui territorio si svolge l’evento ed è di competenza del Consiglio nazionale forense quando si tratta di eventi da svolgersi all’estero organizzati da organismi stranieri, o seriali, destinati, cioè, ad essere replicati più volte nello stesso modo in più circondari, o distretti.

In tutti gli altri casi la competenza è del Consiglio dell’Ordine nella cui sede l’evento è organizzato.

Ovviamente il Consiglio nazionale forense può accreditare l’evento formativo organizzato all’estero da un organizzatore straniero solo se quest’ultimo lo richieda; cosa accade se tale richiesta non viene formulata (e quindi non vi è stato l’accreditamento) ma l’iscritto, a conoscenza dell’evento, intende comunque parteciparvi?

Anche in un caso del genere l’interessato potrà mettere a frutto la sua partecipazione all’evento e ciò grazie alla previsione dell’art. 3, 1° comma, lett. c).

Ivi infatti si prevede che integri assolvimento dell’obbligo formativo la partecipazione effettiva ed adeguatamente documentata ad “(…) altri eventi specificamente individuati dal Consiglio nazionale forense”. (o il singolo Consiglio dell’Ordine); in questo caso sarà necessaria una richiesta, preventiva o successiva, dell’interessato (al Consiglio nazionale forense) di considerare quell’evento formativo come utile, con contestuale richiesta di attribuzione del credito.

7-. L’accreditamento è concesso – recita il comma quarto dell’art. 3 - valutando la tipologia e la qualità dell’evento formativo, nonché gli argomenti trattati.

Per consentire tale valutazione, è previsto che chi intenda organizzare eventi formativi ed ottenere l’accreditamento preventivo, deve presentare al Consiglio dell’ordine locale, ovvero al Consiglio nazionale forense, secondo la rispettiva competenza, una relazione dettagliata con tutte le indicazioni necessarie.

Si suggerisce, all’uopo, di seguire la seguente procedura:

(a) i Consigli verificheranno previamente la possibilità di ricondurre l’evento formativo proposto alla tipologia di uno di quelli idonei a consentire l’accreditamento, ciò che faranno comparando il singolo concreto evento con l’elencazione di quelli di cui all’art. 3, 1° comma, lett. a) e b);

(b) in caso di non immediata riconducibilità, verificheranno se l’evento è comunque riconducibile, in via estensiva o analogica, ad uno di quelli elencati;

(c) trattandosi di eventi formativi riconoscibili come tali, procederanno poi all’analisi del loro contenuto verificandone, per quanto possibile, qualità scientifica, serietà e coerenza con le finalità del regolamento;

(d) in caso di difficoltà di valutazione, o in presenza di lacune o incertezze, i Consigli potranno richiedere informazioni, o documentazione suppletiva.

Ai fini dello snellimento della procedura e della tempestività della risposta, il meccanismo ideato è stato quello del silenzio-assenso, per cui la mancata risposta da parte del Consiglio dell’Ordine sulla domanda di accreditamento oltre il quindicesimo giorno dal suo deposito, ovvero oltre quindici giorni dal deposito della documentazione, o delle informazioni richieste in via suppletiva, è equiparata a risposta positiva e pertanto l’accreditamento si intende concesso.

Nella materia dell’accreditamento è stato riconosciuto il particolare ruolo svolto dalla Cassa Nazionale di previdenza ed assistenza forense e dalle associazioni professionali riconosciute come maggiormente rappresentative sul piano nazionale dal Congresso nazionale forense.

Sia con la prima che con le seconde, infatti, il Consiglio nazionale forense potrà stipulare protocolli in grado di consentire, tramite l’adozione di criteri di valutazione, la semplificazione e l’accelerazione delle procedure di accreditamento. Ovviamente tali protocolli potranno – su base volontaria – essere recepiti, se di interesse, da parte dei singoli Consigli dell’Ordine.

E’ certo che, ad esempio, potrà essere utilmente valorizzata la competenza specifica della Cassa forense quando si tratti di organizzare eventi formativi aventi ad oggetto materie relative all’ordinamento professionale e previdenziale.

8-. Si è già detto della funzione che assolve l’invio da parte dei singoli Consigli dell’Ordine al Consiglio nazionale forense dell’elenco degli eventi formativi organizzati da pubblicare sul sito Internet di quest’ultimo.

Art. 4-. Attività formative.

1-. L’art. 4 introduce il concetto di attività formative da distinguersi dagli eventi formativi; mentre quest’ultimi corrispondono ad occasioni di formazione culturale, le attività formative sono comportamenti valutati come idonei a surrogare la partecipazione agli eventi ai fini dell’adempimento dell’obbligo formativo.

Il motivo per cui lo svolgimento di un’attività può far ritenere assolto, nella misura volta a volta prevista, l’obbligo formativo, è ovvio: l’insegnamento o la pubblicazione di saggi, articoli, o monografie nei settori del diritto, riflettendo la competenza tecnica specialistica dell’autore, presuppongono un’attività di preparazione e di studio almeno pari a quella di chi ne fruisce in qualità di discente, o di lettore. Alla stessa stregua, anche la partecipazione alle commissioni per gli esami di Stato di avvocato è occasione di formazione culturale.

Le attività formative che permettono di considerare adempiuto l’obbligo formativo sono:

a) relazioni o lezioni negli eventi formativi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 3, ovvero nelle scuole forensi, o nelle scuole di specializzazione per le professioni legali;

b) pubblicazioni in materia giuridica su riviste specializzate a diffusione o di rilevanza nazionale, anche on line, ovvero pubblicazioni di libri, saggi, monografie o trattati, anche come opere collettanee, su argomenti giuridici;

c) contratti di insegnamento in materie giuridiche stipulati con istituti universitari ed enti equiparati;

d) partecipazione alle commissioni per gli esami di Stato di avvocato, per tutta la durata dell’esame;

e) altre attività di studio ed aggiornamento svolte in autonomia nell’ambito della propria organizzazione professionale, che siano state preventivamente autorizzate e riconosciute come tali dal Consiglio nazionale forense, o dai Consigli dell’ordine competenti.

Va precisato che per l’attività sub d) il semplice far parte della commissione d’esami non è sufficiente ad integrare la sostanza dell’attività formativa se ciò non si è tradotto in presenza effettiva ai lavori della commissione per tutta la durata dell’esame, ovviamente secondo il calendario stilato al riguardo.

Quella elencata sub e), infine, corrisponde ad una tipologia di attività di studio e formazione di conio recente, ma che sempre più spesso è organizzata autonomamente nelle singole strutture professionali di una certa dimensione.

2-. Tutte le attività formative di cui si è detto sopra devono essere vagliate dal Consiglio dell’ordine competente, il quale attribuisce i crediti formativi tenuto conto della natura e dell’impegno che essa richiede, con il limite massimo di n. 12 crediti per le attività di cui alla lettera a), di n. 12 crediti per le attività di cui alla lettera b), di n. 24 crediti per le attività di cui alla lettera c), di n. 24 crediti per le attività di cui alla lettera d) e di n. 12 crediti annuali per le attività di cui alla lettera e).

Il tetto massimo dei crediti attribuibili deve intendersi rapportato all’intero periodo triennale di valutazione dell’obbligo formativo e non all’anno formativo; sicchè, per esempio, non potrà accadere che per l’attività consistente in pubblicazioni in materie giuridiche – per la quale è previsto un tetto massimo di 12 crediti - l’interessato possa cumulare 36 crediti se le pubblicazioni si sono ripetute nei tre anni.

Viceversa, i crediti relativi a ciascuna attività possono cumularsi tra di loro;

per cui ad esempio potrà accadere che nell’intero periodo triennale di valutazione l’interessato consegua, ex art. 4 cit., complessivamente 48 crediti, di cui 12 per pubblicazioni, 12 per relazioni e lezioni e 24 per aver partecipato alla commissione di esami di avvocato.

Anche in considerazione di ciò, è auspicabile che nell’esercizio della loro autonomia i Consigli dell’Ordine pesino con accortezza le singole attività tenendo conto non solo del loro contenuto e qualità, ma anche del possibile effetto provocato dalla loro combinazione.

Particolare attenzione dovrà poi essere rivolta all’attività sub e) il cui monitoraggio e valutazione appaiono particolarmente problematici in considerazione anche delle modalità private del suo svolgimento.

Art. 5-. Esoneri.

1-. Se l’attività formativa di cui all’art. 4 permette di ritenere adempiuto, pro parte, l’obbligo formativo, le situazioni soggettive previste nei commi primo e secondo dell’art. 5 costituiscono causa di esonero dal medesimo.

La differenza è evidente: lo svolgimento di un’attività formativa costituisce modalità alternativa e particolare di adempimento di un obbligo che comunque sussiste; le situazioni soggettive suindicate fanno venire meno in nuce l’obbligo.

Questa è, anzitutto, la situazione dei docenti universitari di prima e seconda fascia e dei ricercatori universitari con incarico di insegnamento (primo comma).

La dispensa dall’obbligo non è però totale; esso infatti residua per l’aggiornamento in materia deontologica, previdenziale e di ordinamento professionale, settori non coinvolti dall’insegnamento universitario (si è parlato al riguardo di zoccolo duro formativo generico).

E’ sottinteso che i docenti ed i ricercatori universitari di cui si parla devono risultare incardinati su insegnamenti relativi a materie giuridiche.

2-. Altre cause di dispensa sono quelle elencate dal secondo comma, unificate dalle seguenti caratteristiche relative all’esonero:

(a) a differenza dei casi di cui al primo comma in cui opera automaticamente, è accordato (o negato) a discrezione del Consiglio dell’Ordine competente con provvedimento motivato;

(b) presuppone la domanda dell’interessato;

(c) può dispensare totalmente, o solo, parzialmente dall’obbligo;

(d) nel caso di dispensa parziale, con lo stesso provvedimento che l’accorda il Consiglio dell’Ordine determina la misura dei crediti formativi residui avuto riguardo alla durata dell’esonero, al suo contenuto ed alle sue modalità.

Per il resto, le cause di esonero si distinguono in due gruppi a seconda (i) che siano motivate da ragioni lato sensu riconducibili ad un impedimento all’assolvimento dell’obbligo formativo, ovvero (ii) si riconnettano ad una condizione personale che non necessariamente impedisce l’adempimento dell’obbligo.

Il primo caso è quello dell’esonero dovuto a:

- gravidanza, parto, adempimento da parte dell’uomo o della donna di doveri collegati alla paternità o alla maternità in presenza di figli minori;

– grave malattia o infortunio od altre condizioni personali;

– interruzione per un periodo non inferiore a sei mesi dell’attività professionale o trasferimento di questa all’estero;

– altre ipotesi indicate dal Consiglio nazionale forense.

Il secondo caso è quello dell’esonero richiesto da chi abbia maturato almeno 40 anni di iscrizione all’albo; qui occorre tenere conto del settore di attività, della quantità e qualità dell’attività professionale del richiedente e di ogni altro elemento utile alla valutazione della domanda.

Si è ritenuto necessario introdurre una previsione di questo tipo per venire incontro alle esigenze di quanti hanno raggiunto una certa età anagrafica e possono avere difficoltà ad adempiere compiutamente l’obbligo.

Sennonché il principio sotteso alla previsione di questa dispensa non deve essere inteso in un senso che sarebbe confliggente con lo spirito della formazione continua.

Infatti, è proprio forse nei confronti di chi abbia maturato una certa età anagrafica che può apprezzarsi una più profonda esigenza di aggiornamento professionale, potendo il bagaglio culturale essere ancorato a vecchie o superate concezioni e comunque non in linea con le novità e gli sviluppi del sapere professionale.

Perciò, per non tradire lo spirito della formazione, si è ritenuto di inserire, accanto alla previsione della facoltà di dispensa per chi abbia superato 40 anni di iscrizione, il riferimento alla necessità che la relativa decisione sia assunta tenendo conto del settore di attività, della quantità e qualità dell’attività professionale svolta dall’interessato e di ogni altro elemento utile.

Cosicchè potrebbe non trovare giustificazione l’esonero dall’obbligo formativo di chi, pur avendo superato 40 anni di iscrizione, sia titolare di un avviato studio, lo frequenti quotidianamente, eserciti in prima persona e curi affari di rilievo; per questa persona non sussistono affatto le ragioni dell’esonero.

Le quali potrebbero invece sussistere per chi avesse solo nominalmente ancora attivo lo studio ed esercitasse un’attività marginale.

In buona sostanza non è l’età che da sola può determinare il se dell’esonero; essa è solo la precondizione di innesco di un procedimento valutativo complesso che può, come no, condurre all’esonero che potrebbe anche non essere totale.

Art. 6-. Adempimenti degli iscritti e inosservanza dell’obbligo formativo.

1-. Il primo comma dell’art. 6 prescrive che ogni iscritto deve depositare annualmente una sintetica relazione che attesta quale sia stato il percorso formativo seguito nell’anno, indicando gli eventi formativi.

L’aggettivo sintetica sta a significare che l’obbligo può intendersi adempiuto semplicemente indicando eventi formativi, data e crediti conseguiti, senza necessità di dilungarsi ulteriormente.

Anche al fine di evitare l’aggravio dei compiti consiliari seppur sotto forma di conservazione dei documenti cartacei, si è ritenuto di semplificare al massimo l’adempimento ritenendo sufficiente la mera autocertificazione circa la verità di quanto affermato.

Il riferimento all’autocertificazione va peraltro inteso in senso atecnico volendosi dire che la dichiarazione effettuata dall’interessato in conformità a quanto richiesto dal primo comma, dal medesimo sottoscritta, vale quale certificazione di veridicità di quanto affermato.

2-. Si è visto prima come il mancato adempimento dell’obbligo formativo costituisce di per sé illecito disciplinare.

Il secondo comma dell’art. 6 aggiunge che costituisce illecito disciplinare anche la mancata o infedele certificazione del percorso formativo.

Ne deriva che i possibili illeciti disciplinari collegati all’obbligo di formazione sono almeno tre:

(a) inadempimento (totale o parziale) dell’obbligo formativo;

(b) adempimento dell’obbligo formativo, ma mancata sua certificazione (sub specie di omesso deposito della relazione di cui al primo comma);

(c) adempimento dell’obbligo formativo, deposito della relazione, ma infedeltà della stessa.

Art. 7-. Attività del Consiglio dell’Ordine.

1-. L’art. 7 è di fondamentale importanza perché contribuisce a marcare la centralità del Consiglio dell’Ordine nel meccanismo della formazione continua.

Questi deve anzitutto vigilare – come sottolinea il primo comma -

sull’adempimento dell’obbligo formativo, nei modi e con i mezzi ritenuti più opportuni.

La funzione di vigilanza è una conseguenza naturale delle competenze ed acquisisce particolare rilievo in considerazione del riflesso deontologico dell’adempimento dell’obbligo formativo.

Che poi tale controllo debba esplicarsi nei modi e con i mezzi ritenuti più opportuni, è ovvio; appartiene, infatti, alla discrezionalità dell’ente la scelta delle modalità di esercizio del potere/dovere potendo il Consiglio nazionale forense fornire solo suggerimenti.

In questo senso deve leggersi la previsione dell’art. 8 che, sotto la rubrica Controlli del Consiglio dell’Ordine, prospetta, a mò di suggerimento, il metodo del controllo a campione e della richiesta all’iscritto di documentazione e chiarimenti integrativi.

Si ritiene che ulteriore buona norma di condotta potrebbe essere quella di controllare lo stato del percorso formativo dell’iscritto nelle occasioni in cui il Consiglio dell’Ordine intende attribuirgli incarichi, ovvero segnalarlo per la loro assunzione; lo stesso provvedimento di segnalazione, o di nomina, potrebbe ospitare, nella motivazione, il richiamo al controllo positivo espletato circa la regolarità del percorso formativo.

Il medesimo controllo potrebbe poi essere effettuato in tutte le occasioni in cui l’interessato chiedesse di essere inserito in particolari elenchi tenuti dal Consiglio.

In buona sostanza, non dovrebbero mancare al Consiglio dell’Ordine occasioni di controllo del percorso formativo del tutto fisiologiche, senza dover ricorrere ad indagini poliziesche.

2-. La precipua funzione del Consiglio dell’Ordine in materia di formazione, si esplica nell’elaborazione di un programma della formazione definito dal Regolamento piano dell’offerta formativa (secondo comma).

Esso deve essere elaborato entro il 31 ottobre di ogni anno ed indicare il tipo di offerta con i crediti riconoscibili.

3-. Il terzo comma contiene l’indicazione di talune (non esclusive) modalità di realizzazione del piano dell’offerta formativa.

3.1.-. Oltre che individualmente, il Consiglio dell’ordine può realizzare il programma anche di concerto con altri Consigli dell’Ordine, o nell’ambito delle Unioni distrettuali, ove costituite.

E’ questa la modalità organizzativa che si reputa di dover raccomandare soprattutto in caso di Consigli di non grandi dimensioni per i quali l’organizzazione degli eventi formativi può costituire un sensibile aggravio di costi.

Le Unioni distrettuali sono poi le sedi naturali ove l’offerta formativa può essere omogeneizzata rispetto ad una platea di fruitori più ampia e tramite coordinamento delle iniziative, sia da punto di vista cronologico, sia dal punto di vista contenutistico; evitando in tal modo il rischio della sovrapposizione di eventi simili, organizzati in ambito distrettuale dai singoli Consigli.

Una tale organizzazione ha, infine, il vantaggio di rendere omogeneo anche il criterio per l’attribuzione dei crediti.

Soprattutto da questo punto di vista occorre raccomandare il massimo del coordinamento tra Consigli dell’Ordine almeno dello stesso distretto, per evitare il rischio che eventi formativi dello stesso spessore qualitativo e contenutistico, siano trattati in modo differenziato in sede di attribuzione dei crediti. E le Unioni distrettuali sembrano essere il luogo ideale per garantire almeno questo profilo di omogeneizzazione.

3.2.-. Sempre nel terzo comma compare il riferimento alla possibilità per i Consigli dell’Ordine:

(a) di realizzare il programma di concerto con enti ed associazioni forensi, o altri enti senza scopo di lucro;

(b) di realizzare attività formative unitamente a soggetti, anche se operanti con finalità di lucro, sempre che nessuna utilità, diretta o indiretta, ad essi ne derivi, ulteriore rispetto a quella consistente nell’esonero dalle spese di organizzazione degli eventi.

Le due proposizioni non sono in contraddizione, la prima dovendo intendersi come segnale della opportunità che il sistema della formazione continua, per la parte riservata alla competenza dei Consigli dell’Ordine, sia tendenzialmente gratuito; ciò è reso evidente dal successivo riferimento - che si è già avuto modo di commentare – al fatto che i Consigli “favoriscono la formazione gratuita in misura tale da consentire a ciascun iscritto l’adempimento dell’obbligo formativo, realizzando eventi formativi non onerosi, allo scopo determinando la contribuzione richiesta ai partecipanti col limite massimo del solo recupero delle spese vive sostenute”. E’ chiaro che una tale finalità può meglio essere raggiunta – se il Consiglio reputi di dover operare in sinergia con altri che non siano un altro Consiglio dell’Ordine - quando il partner non è animato da scopo di lucro.

Ma ciò non impedisce al Consiglio, nella sua autonomia e discrezionalità (che anche qui ha modo di manifestarsi), di operare in sinergia anche con enti lucrativi; la necessità di richiamare la funzione sociale della formazione ha fatto ritenere opportuno l’inserimento del richiamo alla opportunità di una tendenziale assenza di utilità ritraibile dalla formazione.

In poche parole, il terzo comma in commento non può essere inteso come forma di limitazione della facoltà del Consiglio dell’Ordine di scegliere il partner che reputi più opportuno, se del caso anche operante con finalità di lucro; semmai, come richiamo al fatto che, comunque sia, la formazione si svolga in un quadro di tendenziale gratuità (gratuità relativa e non assoluta, come si è già visto) che impedisca – almeno sul versante degli eventi organizzati dai Consigli dell’Ordine – la sua trasformazione in occasione di speculazione.

Si reputa, al riguardo, di dover ricordare ai Consigli dell’Ordine che nella predisposizione dell’offerta formativa di loro competenza essi possono ottenere del tutto gratuitamente da parte del Consiglio nazionale forense (ed altrettanto gratuitamente, pertanto, somministrare ai propri iscritti in sede formativa) copia delle registrazioni audio/video di tutti gli incontri, seminari, convegni e tavole rotonde organizzati nel corso della precedente consiliatura dal Consiglio nazionale forense presso la propria sede sui più svariati argomenti di attualità professionale. Ed anche la proiezione di video/audio di tali incontri, seminari e convegni può, almeno nel momento iniziale di rodaggio della macchina organizzativa della formazione, integrare un evento formativo.

4-. Il quarto e quinto comma prevedono (a) che i Consigli dell’Ordine inviino al Consiglio nazionale forense, entro il 31 ottobre di ogni anno, una relazione illustrativa del piano dell’offerta formativa e (b) che la formulazione del piano non impedisce la realizzazione di ulteriori e distinti eventi originariamente non programmati.

Art. 8-. Controlli del Consiglio dell’Ordine.

1-. Si è già avuto modo di commentare questa norma.

Art. 9-. Attribuzioni del Consiglio nazionale forense.

1-. Il comma primo individua come funzione essenziale del Consiglio nazionale forense quella di promuovere ed indirizzare lo svolgimento della formazione professionale continua individuandone i nuovi settori di sviluppo.

Nella realtà, un’attività del genere è già realizzata dal Consiglio da almeno due anni, da quando cioè è stato organizzato nel 2006 il primo Congresso Nazionale Giuridico Forense, cui è seguita l’edizione del 2007.

Essi hanno avuto ed avranno in futuro l’obiettivo di accendere i riflettori dell’interesse e dell’analisi da parte dei massimi studiosi a tutto beneficio degli avvocati sulle riforme recenti e sui temi di frontiera delle varie branche del diritto; costituiscono pertanto la prima e più qualificata modalità di segnalazione e di orientamento per lo svolgimento della formazione professionale continua.

2-. Il secondo comma attribuisce, invece, al Consiglio nazionale forense la funzione di valutatore dei singoli programmi formativi predisposti dai Consigli degli Ordini tramite la verifica dell’adeguatezza dell’offerta formativa. Il silenzio serbato oltre trenta giorni dall’invio del programma va inteso come approvazione del piano; eventuali rilievi impegnano il Consiglio dell’Ordine interessato ad elaborare un nuovo piano che ne tenga conto.

Questa funzione del Consiglio nazionale forense deve intendersi, sostanzialmente, ancillare, di ausilio e di indirizzo e gli eventuali rilievi al piano devono essere inquadrati nella prospettiva di un contributo ad una crescita complessiva del sistema ordinistico nella predisposizione di tali piani.

Art. 11-. Entrata in vigore e disciplina transitoria.

1-. Il primo comma dell’art. 11 stabilisce che “il presente regolamento entra in vigore dal 1° settembre 2007”, mentre, a tenore del secondo, “Il primo periodo di valutazione della formazione continua decorre dal 1° gennaio 2008”.

Ciò significa che i Consigli dell’Ordine devono essersi attrezzati sin dal 1° settembre 2007 per essere in grado di predisporre il piano dell’offerta formativa 2008 entro il 31.10.2007.

Evidentemente la data dell’1.9.2007 non riguarda direttamente gli avvocati ed i praticanti abilitati per i quali vale l’appuntamento dell’1.1.2008 come data a partire dalla quale diviene attuale ed effettivo il loro obbligo formativo.

Una conseguenza di ciò è che – a stretto rigore – eventuali eventi formativi svoltisi dal settembre 2007 al dicembre 2007 non potrebbero essere presi in considerazione ai fini dell’attribuzione dei crediti.

2-. Nel primo triennio di valutazione a partire dall’entrata in vigore del presente regolamento, i crediti formativi da conseguire sono ridotti a venti – secondo il terzo comma - per chi abbia compiuto entro il 1° settembre 2007 o compia entro il 1° settembre 2008 il quarantesimo anno d’iscrizione all’albo ed a cinquanta per ogni altro iscritto, col minimo di 9 crediti per il primo anno formativo, di 12 per il secondo e di 18 per il terzo, dei quali in materia di ordinamento forense, previdenza e deontologia almeno 6 crediti nel triennio formativo.

La norma tiene conto del fatto che, iniziando solo ora il processo di formazione continua, ne è necessario un rodaggio ed una graduale entrata a regime che abitui tutti gli iscritti alla novità permettendo di alleviare, nei limiti del possibile, i pesi organizzativi che gravano sui Consigli dell’Ordine.

3. I commi quarto e quinto vanno letti congiuntamente. Per il quarto comma “L’articolo 1, comma 3 del (…) regolamento si applica a partire dal 1° settembre 2008.”; a tenore del quinto “Per il primo triennio di valutazione l’iscritto che, dando con qualunque modalità consentita informazione a terzi, intenda fornire le indicazioni di cui all’articolo 1, comma 3, dovrà aver conseguito nei 12 mesi precedenti l’informazione non meno di 10 crediti formativi nell’ambito di esercizio dell’attività professionale che intende indicare”.

Occorre anzitutto ricordare che l’art. 1, 3° comma prescrive che è necessario adempiere l’obbligo formativo negli ambiti in cui si comunica di esercitare l’attività prevalente e ciò quale condizione della spendita deontologicamente corretta della relativa indicazione ex art. 17 bis CdF; l’art. 2, 5° comma stabilisce che a tal fine l’interessato deve aver conseguito nel periodo di valutazione che precede l’informazione (relativa all’attività prevalente), non meno di 30 crediti formativi nell’ambito di esercizio dell’attività professionale che intende indicare.

Se si fosse applicata questa regola senza una norma transitoria, il risultato sarebbe stato che nessuno avrebbe potuto dare indicazioni ex art. 17 bis circa la propria attività prevalente prima dell’1.1.2011, dato che nel periodo di valutazione precedente avrebbe dovuto aver conseguito almeno trenta crediti; periodo che, ai sensi dell’art. 2, 2° comma (secondo cui “Il periodo di valutazione della formazione continua ha durata triennale”), corrispondeva al triennio formativo 2008/2010.

Si è pertanto ritenuto opportuno inserire le norme transitorie corrispondenti al quarto e quinto comma, che vanno lette nel seguente modo:

(a) la prescrizione dell’art. 1, 3° comma secondo cui l’adempimento del dovere formativo, con riferimento agli ambiti in cui si comunica di esercitare l’attività professionale prevalente, è condizione per la spendita deontologicamente corretta dell’indicazione dell’attività prevalente ex art. 17 bis CdF, non si applica dal 1.9.2007 bensì dall’1.9.2008;

(b) pertanto, fino all’1.9.2008 si può continuare a dare indicazioni sull’attività prevalente come in precedenza senza alcuna variazione rispetto al passato e quindi senza dover dimostrare di aver conseguito alcun credito formativo nella materia di riferimento;

(c) dall’1.9.2008 e sino al 31.12.2010 (termine del periodo di valutazione triennale) la stessa indicazione potrà dirsi deontologicamente lecita se l’interessato avrà conseguito nei dodici mesi precedenti il momento in cui avrà iniziato a darla almeno 10 crediti formativi.



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